Arriva l'identità alias per i dipendenti statali transgender: "Eliminare le discriminazioni"
Transgender flag, shadows and silhouettes of people on a road, conceptual picture about anonymous Transgender and Gay Lesbian in the World
Non solo scuole e università, ma il tema dell'inclusione e della non discriminazione si fa largo anche sul posto di lavoro. La novità, non ancora ufficiale, è che nella nuova bozza del contratto degli statali ha fatto la su comparsa l'identità alias, ovvero un profilo burocratico temporaneo che permetterebbe alle persone trans* di utilizzare il loro nome scelto, alternativo a quello anagrafico riportato sui documenti ufficiali e dato alla nascita in base al sesso biologico. Una misura che, in realtà, già esiste all'interno di un'organo amministrativo importante, il ministero delle Infrastrutture guidato da Enrico Giovannini e che, come abbiamo detto, in ambito scolastico e universitario sta generando attenzione e sempre maggiori richieste di adesione da parte degli istituti.
Quello transgender è un simbolo di parità e di uguaglianza tra i generi. I diritti sessuali sono metafora della questione sociale
I licei che hanno introdotto la carriera alias su sollecitazione degli studenti non sono molti, ancora, nel nostro Paese, anche perché, come ci dimostra il caso di Geremia che vi abbiamo raccontato su Luce!, in Italia non è facile accettare il cambiamento, non è facile aprirsi a possibilità diverse, maggiormente inclusive, che nulla tolgono agli altri ma danno la possibilità a chi sente di non rispecchiarsi nell'identità biologica di essere accettato per quell* che è. Va meglio tra gli studenti più grandi, perché la carriera alias è attualmente in vigore in 32 atenei su 68. Riconoscere alle persone in transizione, con un percorso psicologico e medico in atto, la possibilità di vivere naturalmente l'identità che si sono scelte è qualcosa di fondamentale. Per loro e per l'intera società. E una volta acquisita questa possibilità anche nel settore pubblico rappresenterà un passo in avanti per la tutela sul lavoro di tutt* coloro che stanno cambiando sesso o genere. "L’obiettivo è quello di eliminare situazioni di disagio ed evitare che possano verificarsi forme di discriminazione", si legge nella bozza del testo contrattuale. Il lavoratore o lavoratrice che avvierà la transizione potrà fare richiesta della 'identità alias' presentando, come indicato, "adeguata documentazione medica". Una volta che l'azienda della avrà accettato la richiesta fatta, il/la dipendente potrà avere, sul proprio fascicolo personale ma anche sul cartellino di riconoscimento, nelle credenziali di posta elettronica o nella targhetta sulla porta dell’ufficio, l’alias che deciderà al posto del suo nome di battesimo. "Il nome alternativo non verrà invece utilizzatoper documenti strettamente personali come busta paga, matricola, provvedimenti disciplinari e sistemi per rilevare le presenze", spiega ancora la bozza di contratto. A questo elenco si aggiungono anche tutti gli atti firmati dal/dalla dipendente che avranno quindi intestazione con il nome di battesimo.
Insomma si tratterebbe, se approvato, di un riconoscimento fortemente voluto in attesa che la legge 164 del 14 aprile 1982 (che contiene le norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso, relative cioè alla possibilità per la persona transessuale di modificare il proprio sesso anagrafico sulla base della propria identità di genere), venga finalmente aggiornata. Ad oggi, infatti, come più volte denunciato dal MIT, una persona trans* deve portare avanti un lungo procedimento giuridico prima di poter ottenere la rettifica del nome e del genere anagrafico e spetta ad un giudice stabilire che sia effettivamente compiuta una transizione sia a livello psicologico sia di riconoscimento sociale.
La storia
Lo scorso giugno, Gay.it aveva raccontato la storia di una donna originaria della Puglia e residente a Torino da decenni. Dal 2019 aveva iniziato un percorso di transizione, da maschio a femmina, dopo un precedente tentativo – non riuscito – cinque anni prima. Questa era sposata con una donna e lavorava presso un ente ministeriale e al sito aveva spiegato: "La mia paura più grande era quella di perdere mia moglie e il lavoro. Ero spaventata dalla possibile reazione della società, e anche per la salute. Perché può essere rischioso fare un tale passo alla mia età". L'incontro prodigioso con una psicologa e l'affetto, l'appoggio ricevuto da parte dei colleghi al momento del coming out l'hanno spinta a fare quindi un passo ulteriore. "A novembre scorso ho inviato una richiesta al mio Ministero, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. È una cosa importante per me e per tante persone che non vogliono cambiare legalmente nome, per non far sciogliere il matrimonio (che verrebbe declassato a unione civile, in quanto in Italia il matrimonio tra persone dello stesso sesso non è riconosciuto, ndr) – ha detto durante l'intervista – Il Ministero ha preso a cuore la cosa, ma non sapevano da dove iniziare perché non ci sono precedenti presso nessun altro ministero. Così, hanno creato da zero un protocollo con le pari opportunità". Ma non solo, perché all'interno dell'edificio dove lavora è stato anche istallato un bagno per le persone transgender e le è stato concesso – come sarà previsto dal nuovo contratto – di indossare il cartellino con il nome di elezione, che è stato posto anche nella targhetta del suo ufficio. "È una cosa veramente forte. Ora do consigli ad altre persone per seguire la stessa trafila. Io non vado a fare i cortei, ma mi piace creare precedenti. Le mie lotte sono non solo per me stessa ma per le altre persone". E chissà che la sua storia, tra poco, non diventi semplicemente una – la prima – tra tante altre.