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Quando il carcere è al femminile, la storia di Maria Luisa

Cresce il numero delle donne dietro le sbarre, in Italia sono 2.425 su un totale di 56.319 reclusi. A Rebibbia 3 docce per 180 detenute

di MAURIZIO COSTANZO -
18 marzo 2023
Cresce il numero delle donne dietro le sbarre, in Italia sono 2.425 su un totale di 56.319 reclusi

Cresce il numero delle donne dietro le sbarre, in Italia sono 2.425 su un totale di 56.319 reclusi

Nelle carceri italiane, secondo i dati aggiornati al 28 febbraio, sono presenti 2.425 donne, su un totale di 56.319 detenuti. Un numero in crescita, visto che al 31 marzo 2022 erano 2.276 le donne presenti negli istituti penitenziari italiani, pari al 4,2% della popolazione detenuta totale. La detenzione al femminile rappresenta uno degli aspetti più complessi e forse anche meno conosciuti del mondo penitenziario. La complessità deriva dai valori propri della donna che, nel contesto detentivo, amplifica aspetti di fragilità e di sofferenza: pensiamo ad esempio alla lontananza, costretta, dalla cura dei figli.
Dietro le Barre III, Chicoria parlato con Maria Luisa, arrestata insieme al fratello e alla sorella e detenuta prima a Rebibbia e poi ai domiciliari

Dietro le Barre III, Chicoria parlato con Maria Luisa, arrestata insieme al fratello e alla sorella e detenuta prima a Rebibbia e poi ai domiciliari

Nella terza puntata della serie sulla vita in detenzione Dietro le Barre III, Chicoria ha parlato con Maria Luisa, arrestata insieme al fratello e alla sorella e detenuta prima a Rebibbia e poi ai domiciliari. Maria Luisa è una storica abitante del quartiere di Trastevere, a Roma. Ha un figlio che adora e al momento lavora come badante. Nel 2018 è stata arrestata per spaccio di cocaina, dopo che alcuni clienti avevano fatto i loro nomi alle autorità.

La storia di Maria Luisa

“Ho spacciato per un po’, poi mi hanno arrestato e ho chiuso con questa strada - ha raccontato Maria Luisa -. Io non ero una di quelle che stava a spacciare tutto il giorno. Davo la droga a un giro di poche persone, sei, sette, otto al massimo. Capitava che mi arrivavano dieci pezzi e finiti quelli avevo chiuso la giornata. Sono cresciuta in un posto dove si bucavano, ma non mi sono mai interessata ad altre sostanze. Per me la droga è cocaina, fumo e hashish, non ero una di quelle spacciatrici che vendeva in continuazione: io lo facevo solo per campare, perché dovevo mangiare. Ho perso mio marito che avevo 22 anni. È stata dura”.

L’arresto

“Sono stata arrestata insieme ai miei fratelli. Avevano fermato delle persone le quali hanno detto che venivano da me a comprare la cocaina. Mi hanno messo il telefono sotto controllo ad aprile del 2017 e sono stata arrestata a ottobre del 2018 con un blitz. Sono stata in carcere dal 18 ottobre 2018 fino al 19 giugno del 2019, e poi agli arresti domiciliari fino a gennaio del 2021. In primo grado ho preso tre anni, in appello mi hanno tolto sei mesi, il resto l’ho fatto tutto”.

La detenzione al femminile a Rebibbia: 3 docce per 180 detenute

“Il carcere ha tante cose brutte, che sono di più delle cose belle, che pure ci sono – racconta Maria Luisa -. Rebibbia ti offre tante attività. Certo c’è il degrado: eravamo 180 detenute con tre docce, ci dovevamo lavare a orario. Una notte abbiamo avvertito un boato, era crollato il solaio del bagno del secondo piano. C’è tanta zozzeria e questa è dovuta pure a chi ci lavora: le detenute prendono lo stipendio ma non puliscono. Come se non bastasse siamo invasi dai topi, dicono che c’è la cucina ma non c’è, e se stai male ti devi comprare le medicine”. Insomma, ci sono disuguaglianze anche in carcere: “Se hai una famiglia che ha i soldi ti fai il carcere, altrimenti – sottolinea Maria Luisa - fai la fame. Ho visto cosa significa povertà e ignoranza. È un posto dove ti devi fare i fatti tuoi”. A Maria Luisa è capitato di sentir dire: “Se domani non mi portano la stessa tuta che hanno portato a te, domani scrivo a casa e ordino di menare tuo padre”.

La vita in carcere

Come spiega il programma Dietro le Barre, Rebibbia è il carcere femminile più grande d’Europa, con 321 detenute registrate a inizio 2022. E le risse sono all’ordine del giorno. “La maggior parte delle detenute sono tutte ragazze – ricorda Maria Luisa -. Mi sentivo un po’ una mamma per loro. Alle sei della mattina chiedevo cosa volevano per pranzo e mi tiravano i cuscini perché volevano dormire. Le ho tirate su a carbonare, matriciane, cacio e pepe, pasta e fagioli, cannelloni, insomma di tutto e di più. Ho incontrato tentenni che non avevano né padre né madre, c’erano storie terrificanti. Ho incontrato ragazzine arrestate per droga che avevano 23 anni e sulle spalle da scontare ancora 16, rischia che qualcuna si ammazza. Spesso capita che si prendano a botte, ogni giorno ce n’è una, litigano per delle banalità”.

La televisione è ammessa, internet no

Nei bambini che hanno trascorso in prigione parte della loro infanzia si riscontra, da grandi, la tendenza alla coazione a ripetere, ovvero a compiere a loro volta dei reati

Nei bambini che hanno trascorso in prigione parte della loro infanzia si riscontra, da grandi, la tendenza alla coazione a ripetere, ovvero a compiere a loro volta dei reati

La vita da detenuti riserva anche momenti sereni. “Il più bello per me era la mattina del colloquio, quando ti alzavi e dovevi sistemarti, come se dovessi andare chissà dove. Avevo colloquio alle 8 di mattina, per prepararmi mi alzavo alle 6”. Nei penitenziari italiani c’è libero accesso a radio e tv, a internet invece si accede solo in spazi preposti per studio, formazione e saltuariamente per comunicare con l’esterno. “Dopo pranzo si guarda la televisione, Beautiful, Barbara D’Urso, Verissimo. Io barattavo per vedere Un posto al sole. Guardavamo Amici, un must sono gli sceneggiati, e tutti, ma proprio tutti, guardano il programma di Barbara D’Urso e La prova del cuoco”.

Lo sport nei penitenziari

“Quando sono stata in carcere – ricorda Maria Luisa - ho avuto modo di giocare in una squadra femminile di calcio. È stata una delle esperienze più belle che ho vissuto. Aspettavo il venerdì per allenarmi. È l’unica occasione in cui vieni vista dagli altri e apprezzata, perché lì, per qualunque cosa tu faccia, non sei apprezzata mai”. L’Atletico Diritti è nato nel 2014 per iniziativa di due associazioni, Antigone e Progetto Diritti. Maria Luisa in quella squadra ha vissuto un giorno indimenticabile: “Il 1 giugno del 2019 abbiamo fatto un torneo e lo abbiamo vinto. C’erano le squadre dell’università – racconta – è venuto a guardarci anche il ministro. C’era la Roma femminile e le giocatrici ci ha regalato palloni e altre cose. A volte ci allenavamo anche due volte a settimana, il sabato si giocava sempre in casa, anche quando andavamo in trasferta, perché non potevamo uscire. Abbiamo vinto il torneo e la cosa bella è che hanno giocato anche quelle che non avevano mai visto un pallone. Giocavamo tutte, non solo quelle brave”.

Cos’è l’encomio

I detenuti che si distinguono per particolare impegno nel lavoro, nello studio o nell’aiuto prestato agli altri, sono premiati dal direttore con l’encomio o con la proposta della grazia. “Dopo il torneo – aggiunge Maria Luisa - abbiamo ricevuto l’encomio, che fa passare sopra a tante cose che puoi aver fatto, come un errore, uno sbaglio eccetera. Ma a me non è servito, visto che non mi sono stati concessi tre mesi di buona condotta. Avevo avuto un rapporto disciplinare per aver litigato, dovevo uscire tre mesi prima, invece la casa circondariale Rebibbia mi ha rifiutato la libertà anticipata nonostante l’encomio”.

L’omosessualità al femminile

Bambini in carcere: fino a giugno scorso, 57 bambini al disotto dei 6 anni erano detenuti in Italia

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Ci sono attività varie che le detenute svolgono fuori dalla cella: “Ho fatto pilates e un corso di psicologia. C’è la biblioteca, ma là le detenute vanno non per leggere ma per incontrarsi, e litigare. Così avviene in chiesa: bestemmiano dalla mattina alla sera, ma vanno lì per incontrarsi”. Riguardo all’omosessualità al femminile, secondo Antigone nei penitenziari italiani “i rapporti tra donne rispetto a quelli tra uomini sono percepiti come meno appariscenti, non legati a pulsioni violente e quindi meno sovversivi”. I rapporti lesbici in cella sono diffusi, ma poi “capita che si ingelosiscono e litigano. Quando due detenute fanno l’amore mettono il palo, due sono fuori a controllare e le altre due sono dentro. Ma quando si viene scoperte e arriva la punizione, viene assegnata a tutte, a quelle che stanno fuori e a quelli che stanno dentro, e non è giusto. L’ho presa anche io: l’alternativa era parlare, ma io non faccio la spia”. I provvedimenti disciplinari possono includere il richiamo scritto o verbale, l’ammonizione, l’esclusione delle attività per massimo 10 giorni, l’isolamento fino a 15 giorni. C’è poi un altro aspetto che spinge le detenute ad avere rapporti con altre donne: “Anche se è brutto da dire, ma capita che chi ha 20 anni sulle spalle da scontare, e non conosce nessuno, deve inventarsi un posto di lavoro. C’è una graduatoria in base ai lavori per cui fai richiesta, la cucina è pagata bene ed è la più ambita”. Dunque per trovare un impiego nel penitenziario, molte donne decidono di vendere il proprio corpo.

Maternità e detenzione

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Racconta Maria Luisa: “Le donne che hanno bambini fino a tre anni scontano la pena in un reparto diverso. Noi non avevamo rapporti con questi bambini, che hanno giochi e spazi a parte, e non li vedevamo mai. Li incontravamo solo in chiesa. Nel periodo in cui sono stata io in carcere di creature ce n’erano tre, non di più. Erano in pochi perché nell’agosto del 2018 è avvenuta una disgrazia”. Una detenuta, già segnalata per gravi problemi psichici, aveva ucciso i due figli piccoli gettandoli dalle scale del reparto nido di Rebibbia.

Reinserirsi nel mondo del lavoro

Maria Luisa ha parlato anche della necessità di ampliare le occasioni di lavoro nelle carceri, spiegando che sarebbe bene che il detenuto non fosse abbandonato a se stesso, ma sostenuto anche fuori, partendo dalle reti sociali di riferimento. “Vorrei dire ai giovani di stare lontani dalla strada, perché non regala niente a nessuno, dà solo tanti dolori e disgrazie. La vita ora per me è diversa, lavoro come badante, un impiego che ho trovato grazie a delle persone che conoscevo io. In carcere ho partecipato a dei progetti, mi facevano lavorare 5 ore al giorno per 300 euro al mese: ma perché, mi chiedo, la gente deve essere sfruttata? Se ho sbagliato, perché devo continuare a sbagliare? Dopo quei mesi che ti fanno fare, non c’è futuro. A volte è quello che c’è fuori che ti fa continuare a sbagliare”. L’articolo 15 dell’ordinamento penitenziario indica il lavoro come uno degli elementi della rieducazione, tuttavia, come spiegato durante la puntata di Dietro le Barre, meno del 30% dei detenuti italiani lavora e solo il 4% svolge lavori spendibili anche fuori.