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Sovraffollamento nelle carceri: "Si applichi la forza delle regole, non la regola della forza"

Secondo la segretaria nazionale Dirpolpen Daniela Caputo è necessario che gli istituti siano gestiti da autorità pubbliche distinte dalla polizia penitenziaria e affiancate da psicologi ed educatori

di LUDOVICA CRISCITIELLO -
22 novembre 2022
detenuto

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Sovraffollamento delle carceri. Spunta sempre più spesso tra le pagine dei giornali, o in televisione. Ultimamente più che mai, da quando nella prima metà dell'anno si è arrivati a circa 77 suicidi tra i detenuti e 5 tra agenti della penitenziaria. Un problema sbandierato spesso a fini politici e ideologici, che sembra irrisolvibile e invece non lo è. Lo sostiene la segretaria nazionale Dirpolpen (dirigenti di polizia penitenziaria) Daniela Caputo in occasione del convegno organizzato nella casa circondariale di San Vittore e intitolato "La crisi del sistema carcerario e la polizia penitenziaria: non solo sovraffollamento".

La questione

"In realtà - spiega Caputo - come è stato ampiamente dimostrato, il sovraffollamento è un problema sovrastimato e può essere risolto con tutta una serie di soluzioni, invece di essere tirato sempre in ballo in modo poco costruttivo. Oltre al sovraffollamento ci sono ben altri problemi di vivibilità e organizzazione del sistema carcerario". L’organizzazione passa attraverso la gestione del personale di polizia penitenziaria che è la componente più numerosa. "Ciò che noi sosteniamo come DirPolpen, che è l’associazione più rappresentativa dei dirigenti del corpo, è che l’amministrazione penitenziaria vada riformata con un’organizzazione meno elefantiaca e più specialistica. Chiediamo un dipartimento a parte che si occupi solo di polizia penitenziaria e quindi personale formato perché se non sei formato improvvisi, rischi abusi e situazioni critiche che non sai gestire".

Il sovraffollamento nelle carceri, per Daniela Caputo, è un problema sovrastimato e passa anche dalla gestione del personale di polizia penitenziaria

Qual è il problema

Bisogna anche dire che la normativa europea prevede che gli istituti di pena siano gestite da autorità pubbliche distinte da esercito e polizia. L’Italia insieme al Cile è l’unico Paese dove la polizia penitenziaria è all’interno degli istituti. Invece per dare un trattamento più orientato alla rieducazione, come previsto dalla Costituzione, in carcere ci dovrebbero stare anche educatori, assistenti sociali, psichiatri, figure civili in affiancamento alla polizia che si deve occupare solo di sicurezza. La polizia penitenziaria deve essere svincolata di compiti che non attengano alla sicurezza”. È di poco tempo fa l'allarme di un agente nel carcere di Monza che ha denunciato una situazione divenuta insostenibile laddove la carenza di organico fa sì che tutti gli oneri ricadano sulle spalle sue e dei colleghi, che spesso sono a rischio di aggressioni. “Le rivolte del 2020 hanno dimostrato che le carceri non sono per niente sicure e che ci sono situazioni particolari come quelle del lockdown che possono diventare esplosive. Una polizia penitenziaria adeguatamente formata in materia di sicurezza (muro di cinta, matricola, 41bis, detenuti di massima sicurezza, traduzioni) può contribuire in maniera più efficace alla salvezza del detenuto e a un trattamento più umano. Negli istituti deve vigere la forza delle regole e non la regola della forza”.

I suicidi

Ad oggi sono 77, dall’inizio dell’anno, i suicidi dei detenuti secondo i dati di forniti da Mauro Palma, presidente dell’Autorità del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale. A essere più colpiti sono giovani che scontano per lo più pene irrisorie, o immigrati stranieri o senza fissa dimora. Persone che potrebbero tranquillamente essere indirizzate verso percorsi di rieducazione, o scontare misure alternative. "Quello che si può dire è che il suicidio è un evento critico e va gestito cercandone le cause. Nel caso di persone con vissuto problematico l’ingresso in carcere può farle arrivare a quel gesto estremo. Nel momento in cui ci sono queste situazioni sono necessarie figure come educatori e psicologi. Non solo quelle della polizia penitenziaria che comunque interviene. Dobbiamo ricordare a questo proposito che è altrettanto alto anche il numero di suicidi sventati". Ad oggi però non è previsto alcun tipo di supporto psicologico neanche per gli stessi agenti, costretti ad affrontare situazioni critiche. "Il tasso dei suicidi è alto anche tra gli agenti, ma ad oggi sono stati attivati solo supporti a livello locale. Per questo abbiamo chiesto di istituire i ruoli tecnici, che consentirebbero di avere psicologi e medici interni. Il poliziotto può essere soggetto al burnout e se non è gestito succedono a situazioni drammatiche può arrivare al gesto estremo".

Le soluzioni

Daniela Caputo

Daniela Caputo, segretaria nazionale Dirpolpen (dirigenti di polizia penitenziaria)

"Siamo d’accordo con le misure alternative per chi deve scontare pene irrisorie e meno gravi per deflazionare le carceri, cosicché la carcerazione diventi l’extrema ratio per i reati davvero gravi. Su questo fronte, tra l’altro, la polizia penitenziaria è presente perché è quella che viene chiamata a gestire l’esecuzione penale esterna. Con il dipartimento di giustizia minorile e la polizia di Stato sono state siglate linee guida sulla gestione dei controlli dei detenuti che devono scontare pene in misura alternativa. Ora, ad oggi la legge lo prevede ma purtroppo la pianta organica, che è quella di 20 anni fa, non consente di esercitare queste nuove funzioni. La pianta organica, che deve essere comunque rivista, prevede 40mila unità, ad oggi ce ne sono non più di 32 mila, mancano quindi 4-5mila unità a cui si aggiungeranno i pensionamenti a breve. Altra istanza che avanziamo quindi è quella di rimodulare le piante organica alla luce delle nuove funzioni assegnate alla penitenziaria".

Una pagina buia

Le immagini che hanno ripreso le torture sui detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere da parte del personale, avvenute nel 2020, hanno destato scalpore. A luglio sono stati rinviati a giudizio in 105 tra poliziotti e funzionari del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. "È una delle pagine più buie sicuramente, ma è chiaro che, allora come oggi, bisogna cominciare a interrogarsi sul perché si sia arrivati a quella situazione. Una polizia penitenziaria più formata con protocolli interni e catene di comando più fluide non sarebbe arrivata a questo cortocircuito”. Bisogna imparare dagli errori. “La sicurezza è un obiettivo comune di tutte le forze dell’ordine e se il sistema è in crisi va adottata una riforma che deve partire dalla polizia penitenziaria e dalla sua classe dirigente".