Caro Valditara, parliamo un po’ di patriarcato e di quello che abbiamo ereditato

Senso di superiorità maschile e tendenza alla prevaricazione, l’eredità di una società patriarcale italiana e non dell’immigrazione clandestina

di TERESA SCARCELLA
20 novembre 2024
L’incubo di una 16enne. Violentata e gettata in strada. In manette due ragazzini

Il 25 novembre sarà la giornata internazionale contro la violenza sulle donne

Patriarcato: s. m. [der. di patriarca; nel sign. 1, dal lat. mediev. patriarchatus]. – 1. Dignità, grado di patriarca, nella Chiesa. 2. Tipo di organizzazione familiare a discendenza patriarcale, in cui cioè i figli entrano a far parte del gruppo cui appartiene il padre, dal quale prendono il nome, i diritti, la potestà che essi trasmettono al discendente più diretto e vicino nella linea maschile. 3. estens. Complesso di radicati, e sempre infondati, pregiudizi sociali e culturali che determinano manifestazioni e atteggiamenti di prevaricazione, spesso violenta, messi in atto dagli uomini, spec. verso le donne. (Treccani)

E’ comprensibile che non piaccia la parola “patriarcato”, così com’è comprensibile che quando la sinistra fa diventare una parola una bandiera politica, dal canto suo la destra si senta quasi obbligata a negarla, nel nome di una storica battaglia ideologica. Apprezzabile la coerenza, ma il distaccamento dalla realtà è un’altra cosa. 

Caro Valditara, è più ideologica la lotta al patriarcato o la sua negazione per partito preso?

Prendiamo la definizione che ne fa Treccani. Ammesso che la famiglia patriarcale, così come la ricordano i nostri nonni, non esista più. Niente coprifuoco, niente dote, niente vita prettamente domestica, niente sberle educative e così via. Sarà d’accordo, però, che siamo figli e figlie di quella società. Che il cognome che la prole eredita è quasi sempre quello del padre e che c’è un retaggio culturale ancora molto radicato, soprattutto in alcune zone, per cui le figlie femmine è bene che trovino marito presto, perché se a 30 anni non hai nemmeno un fidanzato, non sei single, ma zitella. La carriera? Meglio un lavoro fisso, possibilmente statale che ti permetta di tornare a casa a un orario decente. Ai figli maschi spetta il compito di prendere in mano l’azienda familiare, altrimenti sei un ingrato; la donna che non sa badare alla casa non è una buona moglie e quella che non vuole figli è una scapestrata. Per non parlare poi della sfera sessuale: può immaginare da solo come viene etichettata una donna che ha avuto tanti amanti. Dalla società intendo, non dagli immigrati clandestini. 

Lei dirà che si tratta di un modo di pensare limitato, circoscritto, eppure ancora esistente e per questo motivo tramandabile, espandibile. Come il concetto di possessività nelle relazioni amorose. Lo sa che è tornato di moda tra le nuove generazioni? Tra i giovani italiani, sì. La gelosia, il controllo, sono ancora sinonimo di amore e protezione. E nel controllo, ovviamente, non c’è l’accettazione del rifiuto, non è contemplato il consenso, e la ribellione si paga a caro prezzo. Non è un’eredità del patriarcato?

Così come il fischiare per strada di fronte a una minigonna; allungare le mani, palpeggiare senza porsi nemmeno il dubbio di infastidire. Vezzi italiani. Non è un’eredità del patriarcato dibattere sul suo corpo, sulla sua autodeterminazione? Sminuirla sul posto di lavoro? Dare per scontato che sia lei a doverlo lasciare in caso di problematiche familiari? Pagarla meno, tenerla fuori da alcuni contesti, dalle cariche apicali, pensare di gratificarla con complimenti che nulla hanno a che fare con la professionalità, rivolgerle battutine subdole, attenzioni non richieste e indesiderate, in poche parole molestarla, additarla come “acida" se non sa stare al “gioco”. Non è eredità del patriarcato credere che una donna che sorride sia una donna accondiscendente? Che un vestito corto sia una provocazione e che un bicchiere di troppo sia un benestare?

Se non è eredità del patriarcato questo, allora cos’è? Preferisce la parola maschilismo? Lo chiami come vuole, ma non cambia il senso di superiorità e la prevaricazione che ne consegue, appartenenti alla nostra cultura e non arrivati su un barcone.