“Per me essere qui è una sfida per migliorare, per le carceri servono scelte lungimiranti come indulto e amnistia”, ha affermato la neo procuratrice, pardon neo procuratore del distretto di Torino durante il discorso di insediamento, pronunciato davanti a una platea colma di personalità della sfera della giustizia e del diritto. Una conferenza di presentazione come tante altre, verrebbe da pensare, durante la quale la funzionaria ha deciso di effettuare i canonici ringraziamenti di rito e di esplicitare quali saranno le direttrici che intenderà perseguire nel corso del suo mandato.
Poi, ad un tratto, una richiesta alquanto particolare: “Chiamatemi procuratore, non procuratrice”. Ma la constatazione, come prevedibile, non è certo passata inosservata alle orecchie degli addetti e delle addette stampa presenti in sala per seguire il giuramento, aprendo nuovamente il dibattito sulla correttezza o meno della declinazione al femminile delle cariche lavorative.
Una discussione, quella sulla “coniugazione” dei termini relativi ai posti di lavoro occupati da uomini e donne, che si protrae da anni, e che è deflagrata non appena il tema è stato posto all’attenzione dell’opinione pubblica, polarizzandola in modo ancora più evidente. Definite da alcuni e alcune come una mera forma base di educazione, civiltà e rispetto, parole come procuratrice o sindaca vengono, invece, soventemente rifiutate dall’ala conservatrice della politica e della società.
Scelte che, rispettivamente, si radicano in quella che era una composizione delle cariche apicali - pubbliche o private che fossero - totalmente riservata a uomini. Fortunatamente, grazie a provvedimenti come le quote rosa e ad una graduale riduzione delle barriere in ingresso per le donne, la società si sta evolvendo, in un percorso ancora ben lontano dall’essere completato. E la scelta di Lucia Musti, oltre che in contrasto con la grammatica italiana la quale prevede che la declinazione femminile di procuratore sia proprio procuratrice, è un enorme passo indietro nella lotta per l’emancipazione femminile.
La procuratrice, infine, ha poi aggiunto: “Chi vuole essere chiamata procuratore, come me, forse ha una femminilità diversa. Non fermiamoci di fronte a certe parole che si vogliono strumentalizzare”. Ma l’unica strumentalizzazione qui presente risiede proprio nel connotare con un appellativo declinato al maschile una carica ricoperta da una donna che, per decenni, è stata unicamente appannaggio di uomini.
Il precedente: Giorgia Meloni, “il Presidente del Consiglio”
Nell’aver salutato con affetto fraterno, nel corso della cerimonia di insediamento, la ministra della ricerca Anna Maria Bernini, Lucia Musti ci ricorda come il primo caso illustre di declinazione al maschile di una carica ricoperta da una donna sia stato proprio quello di Giorgia Meloni. Una richiesta, quella di essere chiamata “Il Presidente del Consiglio”, che destò fin da subito enormi polemiche, e che venne giustificata mediante l’inserimento della stessa nella sfera delle libertà personali.