Meloni è uomo dell'anno, Schlein segretario del Pd: nella guerra dei sessi vince sempre il maschile

Alla Camera lo scontro tra la deputata dem Guerra e il forzista Mulè si gioca sul genere dei ruoli. Invece la copertina del quotidiano non ha dubbi: la premier vince e convince, da perfetto uomo

di CHIARA CARAVELLI
30 dicembre 2023

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"Grazie, signora presidente". È iniziato con queste tre semplici parole il battibecco alla Camera tra la deputata del Partito democratico, Maria Cecilia Guerra, e il deputato di Forza Italia – nonché uno dei vicepresidenti della Camera che in quel momento presiedeva l’aula – Giorgio Mulé. L’azzurro, dopo la frase pronunciata da Guerra nella quale si è rivolta a lui utilizzando l'appellativo femminile e non maschile, si è subito risentito. "Insomma io avrei qualcosa da ridire, però, prego", ha risposto. E poi ha proseguito: "La mia identità è quella, quindi, se si rivolge a me, è con ‘Presidente’ o ‘signor’".
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Scontro in Aula tra Maria Cecilia Guerra e il forzista Giorgio Mulé per l'appellativo che la deputata dem gli ha rivolto, "signora presidente"

È stato a quel punto che la deputata dem ha spiegato il motivo della sua provocazione: "Faccio questa premessa – ha detto – mi rivolgo a lei al femminile per scelta. In quest’aula l’onorevole Perissa Marco o Marco Perissa ha parlato della segretaria del mio partito chiamandola al maschile ‘segretario’ e ritenendo che questa era una scelta che a lui competeva. Se a lui compete di rivolgersi a una donna con un appellativo maschile a me è permesso di rivolgermi a lei e a qualsiasi uomo in quest’aula con un appellativo femminile. E lo farò, a meno che lei non richiami anche l’onorevole Perissa e tutti gli altri che si rivolgono a noi donne al maschile allo stesso modo, perché se lei tiene al suo genere, guardi che io tengo al mio".

Maschile e femminile: se ne discute anche in Parlamento

Il riferimento è a un intervento del deputato di Fratelli d’Italia, Marco Perissa, che il 14 dicembre scorso si era rivolto alla segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, in questo modo: "Proprio ieri, la segretaria, anzi il segretario Schlein – perché io penso di poterlo continuare a chiamare come meglio ritengo – è venuta in quest’aula, esordendo il suo intervento con: ‘Viva l’Italia antifascista’". Lo scambio di battute tra Guerra e Mulé ha riacceso i riflettori su un problema di cui si discute da anni in Parlamento: l’uso del cosiddetto ‘maschile sovraesteso’ (il termine sta a significare l’utilizzo del genere maschile per indicare tutte le persone).
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La segretaria del Partito Democratico Elly Schlein definita "segretario" dal deputato Marco Perissa (Instagram)

Ma questo problema non si limita alle aule della Camera. È anzi estremamente presente all’interno della società in cui viviamo. In generale, è frequente che venga usata la desinenza maschile anche quando si tratta di una donna. ‘Segretario’ anziché ‘segretaria’, ‘il presidente’ al posto di ‘la presidente’, ‘direttore d’orchestra’ piuttosto che ‘direttrice’.

La donna ancora invisibile

Sono solo alcuni dei tantissimi esempi di una tendenza all’utilizzo del genere maschile anche per riferirsi alle donne che è sotto i nostri occhi tutti i giorni. In qualsiasi ambito, dalla politica, alla letteratura, alla storia. Il problema è che siamo talmente assuefatti all’idea che la donna sia invisibile all’interno della società, che per farci riconoscere qualcosa dobbiamo sempre chiedere. Non è automatico, perché la ‘normalità’ è un’altra. Appena, però, una deputata chiama ‘signora presidente’ un collega, subito ci suona strano. Declinare le parole al maschile piuttosto che al femminile quando si parla di una donna è, in fin dei conti, un modo semplice per portare avanti ancora la disparità di genere. Un fenomeno complesso che, nel nostro Paese, colpisce soprattutto nella sfera lavorativa. In questo senso, avere una donna come presidente del Consiglio – Giorgia Meloni è la prima premier nella storia d’Italia – è importante per mandare un messaggio di cambiamento nell’uso del linguaggio. E invece no, perché la leader di Fratelli d’Italia ha scelto di farsi chiamare 'il presidente del Consiglio'.
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Giorgia Meloni è diventata la prima donna premier nella storia italiana, rivendicando però l'utilizzo del maschile 'il presidente'

La stessa Meloni che invece ha sfruttato il suo genere, il suo essere donna, in modo impeccabile durante la campagna elettorale, rivendicando quell'ipotetico - poi concretizzatosi - primato, ribadendo il suo essere Donna (ma anche madre e cristiana), lavoratrice, politica. Poi però, ottenuto l'incarico, infranto il tetto di cristallo che pregiudicava il ruolo di presidente del Consiglio ai soli uomini, è stata lei la prima a raccattarne i cocci per ricostruirlo, ergendosi a uomo di potere. perché appunto, in Italia il potere è maschile e non è certo così che si potrà scalzare questo assunto patriarcale e discriminatorio. La decisione di Giorgia Meloni non aiuta alla causa, ma anzi fomenta il fenomeno contrario.

Il titolo di Libero, Meloni "Uomo dell'anno"

Tanto che ieri il quotidiano Libero, diretto da Mario Sechi, è uscito in edicola con una copertina che ha fatto molto discutere. Tra chi pensava a uno scherzo e chi invece ha apprezzato la scelta, sicuramente il titolo scelto per la prima pagina è significativo: sopra una foto della premier campeggia infatti la scritta ‘Uomo dell’anno’. Come se ‘IL presidente del Consiglio’ non fosse già sufficiente. Sechi ha spiegato la scelta nel suo editoriale: "Nella società del pensiero debole, abbiamo premiato le idee forti. Nella confusione dei ruoli, abbiamo messo l’accento su “homo”, l’essere umano. Nella tracimazione delle diversità, abbiamo ribaltato il genere. Nel tempo di guerra, abbiamo scelto chi ha dimostrato di saper combattere. Giorgia Meloni per Libero è ‘uomo dell’anno’ perché prima di tutto ha cancellato la guerra dei sessi vincendola, pensando differente, essendo divergente, superando la boria dei maschi e lo sconfittismo delle femmine. Non ha rotto il tetto di cristallo, lo ha dissolto. Meloni ha proiettato gli avversari in una dimensione di eterno rosicamento, schiumano che è fascista, leader del patriarcato, femmina ma non femminista. Quante chiacchiere, il problema è risolto: Giorgia è uomo dell’anno". La scrittrice Carlotta Vagnoli, commentando questa scelta dal suo profilo Instagram, ha centrato il problema: "La copertina di Libero è indicativa: una donna che a detta loro ha fatto un buon lavoro va premiata. E quale miglior premio per una donna se non quello di essere elevata a uomo?", si chiede sarcasticamente.  Una provocazione che ha lasciato molte perplessità. Un po’ a tutti e tutte. E che non dovrebbe passare inosservata, ma invece lo farà.