"Come d’aria" di Ada d’Adamo (Elliot) è il romanzo vincitore del Premio Strega 2023 con 185 voti – tripletta, considerato che l’autrice ha vinto anche il Premio Strega Giovani 2023 e lo Strega Off. A ritirare il premio Alfredo Favi, il marito della scrittrice morta lo scorso primo aprile, a soli 55 anni, pochi giorni dopo la candidatura del suo libro al Premio. Accanto a lui, l’editrice di Elliot Loretta Santini ed Elena Stancanelli, amica di D’Adamo e allo stesso tempo Amica della Domenica che ha proposto il romanzo al Premio Strega 2023.
“Come d’aria” è un memoir, un romanzo autobiografico in cui l’autrice racconta una doppia malattia: quella della figlia Daria, che alla fine del libro ha 16 anni, e che è nata con una malformazione congenita del cervello (oloprosencefalia), e quella di Ada, un tumore per cui poi è morta. In passato era già successo tre volte che lo Strega fosse assegnato a libri di autori morti al momento dell’assegnazione: nel 1959 con "Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, nel 1986 con "Rinascimento privato" di Maria Bellonci e nel 1995 con "Passaggio in ombra" di Mariateresa Di Lascia.
La finale della LXXVII edizione del Premio Strega
Nella serata di giovedì 6 luglio si è svolta la finale della LXXVII edizione del Premio Strega. Siamo a Roma, al Ninfeo di Villa Giulia, nella sede che dal 1953 ospita la finale del più ambito (e discusso) riconoscimento letterario italiano, promosso dalla Fondazione Maria e Goffredo Bellonci e da Liquore Strega. Anche quest’anno a condurre la diretta televisiva su Rai3 è Geppi Cucciari. I voti scrutinati sono stati 561 su 660 votanti, ovvero circa l’85% degli aventi diritto. A presiedere la Giuria è Mario Desiati, vincitore del Premio Strega 2022 con “Spatriati” (Einaudi). Il secondo classificato è “Mi limitavo ad amare te” di Rosella Postorino (Feltrinelli), dato come favorito per la vittoria secondo giornali e addetti ai lavori dell’editoria, con 170 voti. E gli altri tre finalisti in cinquina erano: “Dove non mi hai portata” di Maria Grazia Calandrone (Einaudi), “La traversata notturna” di Andrea Canobbio (La Nave di Teseo) e “Rubare la notte” di Romana Petri (Mondadori). Il Premio Strega è il più importante riconoscimento in ambito culturale in Italia assegnato da una giuria composta da 400 Amici della domenica, ai quali si aggiungono 220 voti espressi da studiosi, traduttori e intellettuali italiani e stranieri selezionati da oltre 30 Istituti Italiani di Cultura all’estero, 20 lettori forti e 20 voti collettivi espressi da scuole, università e gruppi di lettura, tra cui i circoli costituiti presso le Biblioteche di Roma, per un totale di ben 660 aventi.“Come d’aria”, il romanzo vincitore
Ada D’Adamo parte dalla sua personale storia per raccontare la disabilità di Daria senza remore e pietismi, e lo fa dal 2008 con una lettera destinata a Corrado Augias, poi ripresa da Emma Bonino:
Gentile Augias, un “bravissimo” medico non è stato in grado di leggere da un’ecografia che mia figlia sarebbe nata con una grave malformazione cerebrale. Oggi la mia bimba, poco più di due anni, è persona pluridisabile, invalida al cento per cento. […] Non tutti hanno la forza fisica, gli strumenti psicologici, i mezzi economici, la cultura che ci vuole per combattere contro la burocrazia implacabile, contro la crudeltà di certi medici e l’inciviltà imperante, la solitudine e la stanchezza e, infine, contro se stessi e la propria inadeguatezza. […] Anche se mi ha stravolto la vita, io adoro la mia meravigliosa figlia imperfetta. Ma se avessi potuto scegliere, quel giorno, avrei scelto l’aborto terapeutico.
È la miccia che fa esplodere il romanzo. Una personale analisi sulla genitorialità e dunque sull’aborto. L’autrice racconta del suo primo aborto e trova la forza per farlo attraverso le “parole indicibili” di un romanzo altrettanto intimo: “L’evento” di Annie Ernaux.
Ada D’Adamo scrive dell’indicibile senso di colpa provato di fronte alla sua malattia e alla disabilità della figlia: parole che nessun genitore pronuncerebbe con una tale facilità e, proprio per questo, una denuncia politica a nome di tutte quelle persone con disabilità e dei loro familiari che sono nei fatti abbandonati a se stessi dalla società. L’autrice non risparmia nulla: racconta il dolore, le battaglie, la solitudine ospedaliera e l’impreparazione scolastica, la frustrazione nel non riuscire a comunicare con la figlia, nel non comprendere i suoi indecifrabili pensieri. E poi, l’ennesimo duro colpo: il tumore. L’autrice racconta la sua strenua lotta contro questa malattia, con cicli di radioterapia prima e di chemioterapia poi. E la paura: che ne sarà di Daria, quando lei non ci sarà più? Quale sarà il suo futuro?
Dolore e ancora dolore. Ferite che le rendono simili. Scriverà: “Più passa il tempo e più ci somigliamo noi due”. Ada diventa d’aria. Ada è Daria. Un apostrofo immortale come il sorriso di Daria che attraverso queste poche pagine sembra di percepire, che trasmette una leggerezza irresistibile e per questo bellissima.
“Si potrebbe quasi dire che sei venuta al mondo in virtù della tua bellezza: esisti perché sei bella. Una volta nata, poi, il tuo aspetto grazioso ti ha tenuto al riparo da quella sgradevolezza che molto spesso si associa alle persone disabili, suscitando in chi le guarda un senso di disagio, quando non di autentico fastidio. È dura da ammettere, ma seguendoti nella tua giovane vita, ho capito che esiste una disabilità ‘bella’ e una disabilità ‘brutta’ e che anche in questo ‘mondo a parte’ le persone – dagli sconosciuti, ai terapisti, ai medici – subiscono il fascino del bello, proprio come avviene nel ‘mondo normale’. All’inizio questo mi infastidiva, mi domandavo se fosse giusto che gli altri si avvicinassero a te solo perché eri bella. Ma poi in quel ‘solo’ ho trovato il senso più nobile e profondo della parola bellezza. Ho pensato che ciascuno di noi riceve almeno un dono dalla vita e che, nella sfiga generale, tanto vale approfittarne. Desideravo la bellezza e l’ho avuta: ho avuto te”.