Rabbia e delusione. Sono questi i sentimenti che emergono dalle storie pubblicate da Giorgia Soleri sui principali canali social dopo che, nei giorni scorsi, un decreto approvato dalla Conferenza Stato-Regioni ha ratificato l’attuazione del decreto LEA, Livelli Essenziali di Assistenza.
Un testo precedentemente approvato – come sostenuto dall’attivista – già nel 2017, reo di aver superato l’iter di attuazione con ben otto anni di ritardo. Una norma all’interno della quale vengono ridefiniti i costi di ben 1100 prestazioni sanitarie, a fronte di 550 milioni di euro di investimento. Una manovra definita da Soleri come sostanziale fumo negli occhi, in quanto non in grado di mitigare quello che è l’impatto di una malattia che colpisce oltre una donna su dieci.
“Questa, che viene narrata come la notizia di cui il popolo aveva bisogno e che il governo ha elargito con generosità e compassione, è solo l’attuazione del decreto LEA approvato nel 2017 e attuato con 8 anni di vergognoso ritardo. Il che mi sembra tutto fuorché una bella notizia. Immagino, quindi, che sarà semplicemente ufficiale l’attuazione dell’esenzione per endometriosi già presente e che definire ridicola è un eufemismo”, ha scritto nelle storie social.
La vacuità della norma e il grido di rabbia
Un attacco, dunque, relativo non solo alle tempistiche di attuazione, enormemente dilatate, ma anche al contenuto stesso della legge, la quale – secondo la modella – appare vuota e inconcludente: “Vorrei ricordare che, ad oggi, una cura per l’endometriosi non esiste, i professionisti specializzati si contano sulle dita di una mano e la possibilità di capitare con uno di essi nel SSN è più magia che statistica”.
A mancare, secondo l’attivista, non è solo una dimensione di cura (perché di fatto una cura non esiste), ma anche di prevenzione nei confronti della patologia: “Un ritardo diagnostico medio di 7-10 anni nonostante la malattia colpisca 1 persona su 10, personale non formato, liste d’attesa che raggiungono vette di anni, due, tre, quattro. E intanto soffri. E ti imbottisci di antidolorifici che non funzionano mentre ti senti dire che sei una donna, sei fatta per soffrire. Forse sei emotiva, un po’ esagerata, ansiosa. Ma rilassati, il ciclo ce l’hanno tutte, beviti un bicchiere di vino prima dei rapporti”.
Una prospettiva che esprime in modo chiaro quali siano le conseguenze di una malattia spesso minimizzata e esclusa dal dibattito pubblico, davanti alla quale le persone colpite sembrano non vedere alcuna possibilità di uscita, pur senza perdere la speranza: “Vogliamo un riconoscimento vero e reale – continua – personale formato in tutta Italia, liste d’attesa umane, diagnosi puntuali, terapie mutuabili, tutele professionali ed economiche. Vogliamo essere ascoltate e credute quando raccontiamo il nostro dolore. Qui non c’è nessuna bella notizia”.