endometriosi, tanto invalidante quanto non riconosciuta, che le ha provocato – e tutt'ora le provoca– atroci sofferenze, senza che venisse loro dato un nome e a lei la legittimazione di essere una persona che prova un dolore reale. Lei, come tante altre donne – almeno 3 milioni in Italia, con un'incidenza di una su 10 – ha vissuto nel buio di un incubo per troppo tempo, per anni, fino alla diagnosi –tardiva, dopo 11 anni– nel 2021. Da lì l'operazione e l'inizio del suo impegno per sensibilizzare, (anche) sui social, le persone, la comunità mendica, le istituzioni su questa malattia.
In un lungo sfogo sul suo Instagram Giorgia posta le foto del suo percorso prima e dopo essere finita "sotto i ferri". Cicatrici ben in mostra, il volto stanco dopo l'intervento, le medicazioni. Ma anche immagini precedenti, quelle dei ricoveri d'urgenza in pronto soccorso, i fogli di dimissione, in cui la superficialità dei medici hanno prevalso su quelle urla silenziose di dolore vero dell'adolescente. Per loro, dice, "Ero esagerata, drammatica, ipocondriaca, con la soglia del dolore bassa". L'incomprensione. Una malattia ben più grave dell'endometriosi stessa, che rende le donne che ne soffrono doppiamente vittime. Lo spiega lei stessa, in un sentimento che la accomuna a tutte le altre, ma che lei può e vuole denunciare anche grazie alla visibilità mediatica che ha: "Un senso di inadeguatezza mi nauseava quasi quanto quel dolore che a un certo punto ha iniziato ad attanagliarmi le pelvi come una dolorosa cintura di spine anche quando non avevo le mestruazioni, anche durante la minzione, la defecazione, i rapporti sessuali".
Pensate a cosa voglia dire, per un'adolescente al primo ciclo mestruale, scoprire che quel corpo che cresce, che cambia, si ribella a questo passaggio fondamentale della vita di ogni donna. Pensate a cosa voglia dire per una giovane donna arrivare a piangere, a rimettere, a sentire il ventre squarciato da lame incandescenti ogni volta che deve andare in bagno, ogni volta che vuole fare l'amore col proprio fidanzato. Pensateci. E poi, una volta scoperta la causa, immaginatevi di sentirvi dire: "Le conseguenze ti hanno provocato anche queste altre problematiche, probabilmente non potrai avere figli". Per chi è "fortunata", come Soleri si definisce, nonostante tutto, e ha al suo fianco un uomo (o una donna, un partner diciamo) che la capisce, sostiene la sua lotta e non la lascia da sola in questa battaglia, magari il percorso pur difficile può essere meno faticoso. Per molte, invece, diventa una strada, lunghissima, da percorrere da sole.
Non tutte hanno un Damiano (frontman dei Maneskin) al loro fianco. Anche per questo sono le donne stesse a scendere in campo, le une al fianco delle altre. "Se c’è una cosa che ho imparato in questi 26 anni di vita è che la condivisione è il contrario della solitudine, e che spezzare il silenzio raccontando le nostre storie per rendere coro ciò che era solo una voce è lo strumento più potente e rivoluzionario che abbiamo" aveva detto in precedenza, quando in occasione della Festa della donna, era stata ospite di Andrea Delogu nella trasmissione Tonica, su Rai Due. In quel contesto aveva deciso di esporsi parlando in prima persona della vuolvodinia, di cui è testimonianza viva e testimonial per il Comitato Vulvodinia e Neuropatia del Pudendo, che da anni porta avanti una strenua battaglia per il riconoscimento di questa malattia, spesso correlata all'endometriosi e altrettanto 'ignorata' a livello ufficiale. Metterci la faccia, per Giorgia Soleri, per le tante attiviste anche meno conosciute che ogni giorno, ogni attimo della loro vita lottano per sé ma soprattutto per le future donne, è una missione. Perché, conclude la 26enne: "Non possiamo cambiare il passato, ma forse possiamo provare a costruire un futuro diverso per chi, ancora oggi, si danna in un dolore senza nome e senza legittimazione".
È un grido di dolore che squarcia un muro di assenze, quello di Giorgia Soleri, 26enne milanese influecer e attivista. Assenza di spiegazioni, di comprensione, di qualcosa che era concreto e ben presente, in lei, in tante altre. "Ho promesso a me stessa che non sarei mai più stata in silenzio e anzi, che ne avrei parlato sempre, anche a costo di risultare ripetitiva, noiosa, pedante. Per provare a dare un senso al dolore che spesso un senso non ce l’ha, e per provare a evitare ad altre persone questo incubo". Parla di quella malattia, l'Il post di Giorgia Soleri
"Da qualche parte ho letto che se ascolti davvero una persona, l’endometriosi non è mai stata realmente così silenziosa. E silenziosa, nel mio caso, non è stata mai. Urlava come avrei voluto urlare io dopo le decine e decine di visite fatte snocciolando i miei sintomi uno dopo l’altro per sentirmi dire, in continuazione, che ero in perfetta salute. Come avrei voluto urlare quando il dolore era così forte da farmi rimettere e svenire, quando a 14 anni ho avuto il menarca e mentre tutti erano entusiasti io scoprivo troppo presto un corpo che ti si rivolta contro. Come avrei voluto urlare durante i miei troppo presenti ingressi al pronto soccorso. Come le infinite volte in cui (mi sono) sentita dire che ero esagerata, drammatica, ipocondriaca, con la soglia del dolore bassa. Invece a stare in silenzio son stata io, per 11 lunghi anni, accompagnata da un senso di inadeguatezza che mi nauseava quasi quanto quel dolore che a un certo punto ha iniziato ad attanagliarmi le pelvi come una dolorosa cintura di spine anche quando non avevo le mestruazioni, anche durante la minzione, la defecazione, i rapporti sessuali. Per questo ho promesso a me stessa, e a quella ragazzina confusa, che non sarei mai più stata in silenzio e anzi, che ne avrei parlato sempre, anche a costo di risultare ripetitiva, noiosa, pedante. Per provare a dare un senso al dolore che spesso un senso non ce l’ha, e per provare a evitare ad altre persone questo incubo. Un anno fa, il 21 Marzo, ricevevo la mia diagnosi di endometriosi e adenomiosi, 5 mesi dopo, il 20 agosto, finivo sotto i ferri sperando di poter finalmente iniziare una vita lontana dal dolore. Sono stata fortunata (non sempre è così), l’intervento ha ampiamente diminuito la sintomatologia dolorosa legata all’endometriosi. Ma ad oggi una cura definitiva ancora non c’è, gli anni di ritardo diagnostico continuano ad essere 7-10 pur colpendo (si stima, al ribasso) 1 persone assegnata femmina alla nascita su 10. Per questo è così importante questa giornata (il 28 marzo, Giornata Mondiale dell'Endometriosi, ndr). Non possiamo cambiate il passato, ma forse possiamo provare a costruire un futuro diverso per chi, ancora oggi, si danna in un dolore senza nome e senza legittimazione".