Da Parigi parabole per un'alternativa alle guerre e alla conflittualità

Non perdere l'umanità di fronte a una valanga che travolge anche i bambini. Ci sono alternative?

di MICHELE BRANCALE
26 settembre 2024
Un cantiere per la pace. Notre Dame

Un cantiere per la pace. Notre Dame, Parigi

Non perdere l’umanità davanti a questa valanga che non sappiamo più gestire, a questa corrente che dici a te stesso di volerci stare dentro senza lasciarti trascinare ma poi, in qualche modo, vieni portato via verso la cosa successiva. E’ la logica del next. Le armi di distrazione e distruzione di massa sembrano lavorare insieme per massimizzare qualcosa che chi le produce non riuscirà più a gestire. Qual è il limite? Siamo nel cuore del cambiamento d’epoca di cui parla Papa Francesco, con un sovvertimento della grammatica dei rapporti umani, del significato delle parole più importanti (vai alla lettera A come Amore), di una snaturata considerazione dei piccoli, travolti dalla riabilitazione della guerra come strumento, cosa che fa dire ad Adriana Gulotta, che coordina le Scuole della Pace di Sant'Egidio, “uccidere i bambini non è più un tabù nel nostro mondo”. Si vorrebbe dire il contrario, avere almeno la certezza che questo non accada, e invece… E invece ecco le notizie dal Libano, dalla Terra Santa, dall’Ucraina, e dalle città dove tanti giovani (e non solo loro) perdono violentemente la bussola e la vita.

Piove a Parigi ma qui scorre anche un fiume di persone non rassegnate, potremmo dire anime del sottosuolo, correnti carsiche che portano acqua buona per dissipare il veleno del non senso. E’ un popolo di disarmati che ha raggiunto questa città-mondo per ‘Immaginare la pace’, convegno internazionale su iniziativa della Comunità di Sant’Egidio, decisa ad essere meno rassegnata che mai di fronte agli scenari cupi del presente, in cui clima, pandemia, tecnologia, insieme all’aggettivo “ipersonico” ricordato da Amin Maalouf nell’assemblea inaugurale di questo incontro internazionale, vengono declinati interiormente e all’esterno con un senso quanto meno di disagio.

La prima cosa è dare un significato proprio alle parole e rianimare una cultura costruttiva di fronte alla destrutturazione di ciò che è buono. Germaine Tillion, antropologa francese rievocata da Marco Impagliazzo, sosteneva la “politica di conversazione” con l’altro. D’altra parte proprio Gesù parlava a tutti con parabole, conversava così. E qui a Parigi, nelle giornate in cui leader religiosi provenienti da tutto il mondo insieme a leader politici, intellettuali e artigiani della pace, tanti racconti sono come parabole che svegliano. L’anziana Gilberte Founier si ricorda l’infanzia e ti folgora così: “La guerra distrugge tutto, la guerra distrugge la vita, come quella di molte mie piccole amiche della mia strada, rue Saint Martin, o del quartiere, costrette a portare la stella gialla e che non ho mai più rivisto”. O l’afghana Lina Hassani, che si è salvata grazie ai corridoi umanitari.

Ascoltiamola bene: “Nel 2009, mio padre è stato ucciso dai talebani, ma mia madre, con una forza incredibile, è andata avanti per sostenere la nostra famiglia. Ci siamo trasferite a Dusht-e-Barchi, un quartiere di Kabul spesso preso di mira dalla violenza dei Talebani. Vivendo lì, ho assistito ad un attacco suicida nella nostra scuola ed ho visto morire alcuni miei compagni di classe. Nell'agosto 2021, i Talebani hanno preso il controllo dell'Afghanistan, imponendo severe restrizioni alle donne. Sentendoci insicure, siamo fuggite in Pakistan, tuttavia anche lì come rifugiati, eravamo visti come un peso, privi di diritti, senza accesso all'assistenza sanitaria e all'istruzione, sempre a rischio di espulsione. Dopo aver vissuto numerose difficoltà, nel nostro campo siamo entrati in contatto con la Comunità di Sant'Egidio. Loro hanno ascoltato le nostre preoccupazioni e promesso di aiutarci, una promessa che hanno mantenuto. Il 29 aprile 2024, abbiamo intrapreso un viaggio dal Pakistan al Belgio con l'aiuto di Sant'Egidio. Oggi viviamo io, mia madre e le mie sorelle in un appartamento nei locali di una chiesa parrocchiale e siamo amati e accompagnati in questa nuova vita. In conclusione, esprimo la mia gratitudine a tutti coloro che hanno sostenuto i rifugiati afghani. Vi chiedo di continuare a sostenere le donne afghane che hanno ancora un disperato bisogno di assistenza. Il vostro sostegno può fare la differenza nelle loro vite e, insieme, possiamo spianare la strada a un futuro più giusto ed equo".

Si, si può creare l’alternativa e una storia come questa lo dimostra. Nella seconda guerra mondiale come nell’Afghanistan di Lina, operava quel “falso realismo della guerra” che il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, ha stigmatizzato a Saint Sulpice, nel cuore della città, durante la messa celebrata con i cristiani che partecipano al convegno. E allora, per vincere questa rappresentazione falsa della realtà, bisogna scendere proprio negli inferni creati dalla violenza e dalla guerra, “dove muoiono tanti santi innocenti, dove si oltraggiano i morti, si torturano i vivi e si colpisce il fratello che l'odio e l'istinto rendono un nemico”. “Io è un altro” cantava Rimbaud nel suo poema disperato dal titolo ‘Una stagione all’inferno’. Ma qui si dice “io sono uno degli altri”, “noi siamo quelli con gli altri” perché, ad esempio, non siano naufraghi in mare; noi siamo quelli che aprono gli occhi “sul deserto per iniziare da lì a costruire il giardino” (Zuppi).

Noi siamo quelli che parlano col nemico perché non abbiamo un nemico, quelli che parlano con i palestinesi e gli israeliani, con i russi e con gli ucraini aggrediti. Noi siamo con quei sindaci che talvolta restano l’unico riferimento istituzionale nelle città travolte (lo ha ricordato la prima cittadina di Parigi Anne Hidalgo). Noi siamo quelli dell’ “Immaginazione al potere”, con un contenuto nuovo per uno slogan che ha avuto fortuna: quelli che cercano di disarmare e mostrare strade di ricomposizione che ci sono, eccome! Noi siamo quelli che si disarmano pregando, credenti e non che sanno di avere una domanda nel cuore, che va oltre sé stessi per la vita di tutti. Siamo quelli e siamo con quelli che, come ha osservato Andrea Riccardi, quando la cultura della pace si volatilizza e la conflittualità diventa una forma di tossicodipendenza, scelgono un’altra strada, certo non quella di una politica che si crede realistica accettando il conflitto ma in realtà si svuota della sua stessa funzione, per accomodamento. Quante strade preparano il futuro, da Saint Sulpice al sagrato di Notre Dame! Anche lì, come con i bambini, si interloquisce con qualcosa di invisibile, con le domande più profonde, che vanno oltre le nuvole, oltre la notte stellata sopra Parigi e sul mondo.