Il corpo come avamposto di un disagio profondo. Il corpo che grida, mentre la sua traccia evapora, silenziosa, davanti a uno specchio. Nei primi anni 2000 le persone che soffrivano di disturbi dell’alimentazione e della nutrizione in Italia erano circa 300 mila, oggi sono oltre 3 milioni. I Dca sono la prima causa di morte tra le malattie psichiatriche.
La seconda causa di morte tra i giovani, subito dopo gli incidenti stradali. Una conta spietata. Nel 2023 si passa a 3780 decessi, quasi il doppio del 2019, quando a morire di anoressia e bulimia erano già 2178 persone.
Spietata perché l’età media raggiunge appena i 25 anni e un’alta percentuale non ha nemmeno 18 anni. Spietata perché troppe volte si muore per non aver potuto accedere alle cure in tempo.
Cosa racconta il corpo
“Manca l’aria, semplicemente. Manca il senso dello spazio, del luogo, manca l’esterno”: sono le parole della scrittrice Anna Maria Ortese nella sua opera “Corpo Celeste”. I Dca non sono patologie avulse dalla società, che può arrivare anche ad estetizzare la malattia, manipolare la percezione del corpo.
Non a caso i numeri raccontano ancora un dato: l’età della presa in carico si è abbassata drasticamente negli ultimi anni. È la pandemia delle nuove generazioni.
“Il corpo degli adolescenti racconta storicamente la vergogna di essere ‘brutto’. Il tema non è il desiderio di essere belli, ma il timore di non essere all’altezza del mondo, di essere inadeguato”, spiega Laura Dalla Ragione, psichiatra, direttrice Rete disturbi alimentari Usl 1 dell’Umbria.
Un senso dell’inadeguatezza che si sbriciola in cornici labili, nella perdita dell’identità corporea: “Le nuove generazioni sono brillanti, belle, molto più in grado di capire le cose rispetto alle vecchie generazioni, ma sono più vulnerabili, come se ci fosse una soglia bassissima della frustrazione, per cui qualunque piccolo giudizio diventa una ferita. È più difficile per questa generazione costruire un’identità coesa. Sono esposti a continue pressioni culturali, giudizi esterni, competizione, conformismi all’interno di un sistema che non ha valori. Non ci sono sponde per loro”.
L’accesso alle cure
“Dai disturbi alimentari si può guarire”, ci tiene a sottolineare Laura Dalla Ragione, ma bisogna chiedere aiuto. “Non c’è letteratura un caso di remissione spontanea di queste patologie. Non si guarisce senza cure”.
Il tempo è un fattore cruciale: “I pazienti arrivano abbastanza tardi a percorsi di guarigione perché nessuno ha interpretato quei comportamenti e quel dimagrimento come una patologia. Ci sono segni che gli specialisti riconoscono ma che passano inosservati”.
C’è poi ancora un altro fattore, drammatico e casuale: il luogo nel quale si vive. “Si muore di più nelle regioni dove non ci sono strutture specializzate. La rete degli ambulatori multidisciplinari in Italia ha costituito un importante passo in avanti nel percorso di cura dei pazienti, ma è ancora presente in modo troppo disomogeneo sul territorio”.
La rete “lilla”
La frammentazione della rete di cura sta intanto creando una migrazione sanitaria che coinvolge intere famiglie. Nel 2023 l’ultimo censimento ha contato 126 strutture sul territorio nazionale, di cui 112 pubbliche 14 appartenenti al settore del privato accreditato.
Sono 63 i centri al Nord (20 in Emilia-Romagna e 15 in Lombardia), 23 al Centro (di cui 8 nel Lazio e 6 in Umbria), 40 quelli distribuiti tra il Sud e le Isole (12 in Campania e 7 in Sicilia). Ci sono quindi regioni, come la Sardegna, il Molise e la Puglia, dove la rete è fragile o quasi inesistente.
I Dca sono poi malattie complesse e per ogni paziente servono almeno tre specialisti: “Gli ambulatori devono essere specifici e integrati. Per ogni caso serve uno psicologo, un nutrizionista e una persona che si occupa della famiglia, per un periodo che non dura meno di due anni: sono patologie che hanno bisogno di un tempo di cura lungo”. Insomma, i conti non tornano.
“Una patologia emergenziale”
Ha creato dibattito la sparizione del Fondo nazionale per il contrasto dei Disturbi della Nutrizione e dell'Alimentazione dalla Legge di Bilancio. Il Governo Meloni ha poi fatto un passo indietro, rifinanziando il Fondo per il 2025. Ma, spiega la psichiatra, questo non è ancora sufficiente. “Siamo davanti a una patologia emergenziale, non possiamo pensare ogni anno di rinegoziare dei fondi straordinari. Attendiamo di vedere i Dca inseriti nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), che significa destinare ogni anno una quota di fondi vincolati, garantendo maggiore omogeneità nelle regioni”.