Il polmone verde del pianeta brucia ancora. E questa volta le evidenze scientifiche preoccupano più del solito. Un rapporto della piattaforma di monitoraggio MapBiomas, pubblicato mercoledì 22 gennaio, fornisce dati senza precedenti: tra gennaio e dicembre 2024 in Brasile sono andati in fumo oltre 30,8 milioni di ettari di vegetazione, una superficie più grande dell'intero territorio italiano. Si tratta di un aumento del 79% rispetto al 2023, ovvero una crescita di 13,6 milioni di ettari: il più alto mai registrato dal 2019.
Il report del Fire Monitor mostra che il bioma più colpito è stata l’Amazzonia, la più grande foresta pluviale del mondo ed ecosistema fondamentale per la regolazione del clima globale, con circa 17,9 milioni di ettari devastati, che corrispondono a più della metà (58%) della sua intera superficie.
“Il 2024 si è distinto come un periodo atipico e allarmante per gli incendi in Brasile, con un aumento significativo delle aree bruciate in quasi tutti i biomi, colpendo in particolar modo le aree forestali, che normalmente non sono così colpite”, spiega Ane Alencar, direttrice scientifica dell’IPAM e coordinatrice della piattaforma MapBiomas. “Gli impatti di questa devastazione dimostrano l’urgenza di azioni coordinate e immediate a tutti i livelli – aggiunge – allo scopo di contenere una crisi ambientale esacerbata da condizioni climatiche estreme, ma innescata dall’azione umana”.
Secondo il rapporto l’aumento degli incendi è determinato da un lungo periodo di siccità che ha colpito il Paese peggiorando le condizioni ambientali, associato al fenomeno climatico “El niño”, che provoca un forte riscaldamento delle acque. Ma dietro le fiamme, il più delle volte, c’è l’agribusiness e la volontà di espandere illegalmente l’area disponibile per gli allevatori.
Nel 2024 sono stati registrati più di 140.000 incendi, il numero più alto in 17 anni, con una percentuale del 42% in più rispetto al 2023. “Un dato preoccupante è che le superfici forestali sono state le più colpite, superando per la prima volta le aree di pascolo – commenta Felipe Martenexen, membro del team della piattaforma – . Questo cambiamento nel modello di combustione è allarmante, poiché le aree forestali colpite dalle fiamme diventano più vulnerabili a nuovi incendi”.
All’inizio dell’anno anche in Argentina, a Chubut, una provincia della Patagonia, quasi 2.000 ettari di vegetazione sono stati ridotti in cenere: le fiamme hanno distrutto circa 50 abitazioni e costretto all'evacuazione 200 persone. Si tratta di uno dei primi grandi incendi boschivi dell'estate australe nel Paese, sullo sfondo di un'ondata di calore con temperature che sfiorano i 40 gradi. Tra i vari focolai, il più importante si è verificato nella zona di Epuyen, 1.750 km a sud di Buenos Aires, per cui non si esclude la possibilità che sia stato di origine dolosa. Il caldo record nella regione sta inoltre facendo scattare l'allarme per possibili interruzioni di elettricità, spingendo il governo di Javier Milei a importare energia da Brasile, Bolivia, Cile e Paraguay.
Anche il responsabile della campagna internazionale Greenpeace Ian Duff esprime preoccupazione per i disastri ambientali registrati nel 2024. “Ancora una volta la comunità scientifica ha ribadito ciò che la maggior parte di noi sapeva già: è stato un anno letteralmente infernale”, afferma commentando i dati di Copernicus sul riscaldamento globale. “Dagli incendi che continuano a devastare la California, alle catastrofi che hanno colpito India, Romania, Italia, Brasile e Sudafrica – continua – migliaia di case sono state sommerse, molti terreni coltivati sono stati gravemente compromessi, e miliardi di persone hanno subito gli impatti delle ondate di calore e respirato un'aria sempre più inquinata. Nel frattempo, le grandi compagnie petrolifere e del gas accumulano profitti, continuando ad alimentare la crisi climatica e ambientale”.
“Nel 2025 continueremo a chiedere ai governi, compreso quello italiano, di ascoltare la voce delle persone e di far pagare i danni alle aziende del petrolio e del gas, le vere responsabili della crisi climatica”, dichiara poi Federico Spadini, attivista per il clima di Greenpeace Italia. “È ora che le aziende del settore energetico siano costrette ad abbandonare i combustibili fossili e a riparare alle perdite e ai danni che stanno causando con il loro business inquinante”.