Descrivete
il 2023 con una parola: quale sarebbe la vostra? Treccani ha scelto
femminicidio. Gli ultimi giorni dell'anno, come consuetudine, sono un periodo di bilanci, in cui si tirano le somme dei 12 mesi trascorsi e magari si fanno anche i buoni propositi per quelli futuri. Ma se, come un bollino di qualità, a quello che sta per finire è stata 'assegnata' una parola come quella selezionata da Valeria Della Valle, che con Giuseppe Patota dirige il Vocabolario
Treccani, allora il 2023 non si può certo dire che sarà ricordato come un anno positivo.
Sono 118 le donne uccise per mano dell'uomo fino ad oggi
Senza retorica, senza giudizi influenzati da opinioni personali: come potrebbe essere giudicato positivamente se lo si etichetta attraverso la morte, col termine che indica l'uccisione deliberata di una donna in quanto tale? Se lo si ricorda come quello in cui (ad oggi, 29 dicembre) 118 donne hanno perso la vita per mano di un uomo, 96 delle quali in ambito familiare o affettivo? Se quella stessa parola è tracciata col sangue delle tante, troppe vittime di una cultura possessiva, maschilista, omofoba, in sostanza patriarcale?
La scelta di Treccani
Infatti nel Vocabolario Treccani online di questa voce si legge: "
femminicidio s.m. [comp. del s.f. femmina e -cidio]. Uccisione diretta o provocata,
eliminazione fisica di una donna in quanto tale, espressione di una cultura plurisecolare maschilista e patriarcale che, penetrata nel senso comune anche attraverso la lingua, ha impresso sulla concezione della donna il marchio di una presunta, e sempre infondata, inferiorità e subordinazione rispetto all'uomo". "Il termine, perfettamente congruente con i meccanismi che regolano la formazione delle parole in italiano, ha fatto la sua comparsa nella nostra lingua nel 2001, e fu
registrato nei Neologismi Treccani del 2008: da allora si è esteso a macchia d'olio quanto il
crimine che ne è il referente".
La pervasività del fenomeno e la ricorrenza sulla stampa hanno spinto i dirigenti del Vocabolario Treccani a scegliere questa parola come rappresentativa del 2023
Per l'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, che ha selezionato "Femminicidio" come parola del 2023 nell'ambito della campagna di comunicazione
#leparolevalgono, si tratta di una scelta che "evidenzia l'urgenza di porre
l'attenzione sul fenomeno della violenza di genere, per stimolare la riflessione e promuovere un dibattito costruttivo intorno a un tema che è,
prima di tutto, culturale. Un'operazione pensata non solo per comprendere il mondo e la società che ci circondano - si legge nella nota -, ma anche per contribuire a responsabilizzare e sensibilizzare ulteriormente lettori e lettrici su una tematica che inevitabilmente si è posizionata al centro dell'attualità". "Come Osservatorio della lingua italiana - spiega Della Valle - non ci occupiamo della ricorrenza e della frequenza d'uso della parola femminicidio in termini quantitativi, ma della sua
rilevanza dal punto di vista
socioculturale: quanto è presente nell'uso comune, in che misura ricorre nella stampa e nella saggistica? Purtroppo - precisa la direttrice scientifica - nel 2023 la sua presenza si è fatta più rilevante, fino a configurarsi come una sorta di
campanello d'allarme che segnala, sul piano linguistico, l'intensità della
discriminazione di genere".
Perché il 2023 è l'anno del femminicidio
Quasi 120
donne morte in un anno. Non per incidenti, non per malori o problemi di salute o ancora per uno sfortunato caso del destino. Uccise, assassinate, ammazzate. Bene, direte voi, si tratta comunque di una parte minoritaria dei 298 omicidi volontari (dati del Dipartimento di pubblica sicurezza, periodo 1° gennaio-26 novembre) commessi quest'anno nel nostro Paese.
L'obiettivo della scelta è quello di sensibilizzare la società sull'urgenza di intervenire a fermare questa pratica
Ma ce lo ha spiegato magistralmente una delle donne che questo - funesto - anno ci ha portato via (lei si per colpa della malattia), la scrittrice Michela Murgia: "La parola femminicidio non indica il sesso della morta.
Indica il motivo per cui è stata uccisa. Dire omicidio ci dice solo che qualcuno è morto. Dire femminicidio ci dice anche il perché". Scegliere di usare questo termine, di scriverlo sui giornali quando si racconta una vicenda di cronaca nera, è quindi il modo corretto e consapevole di usare la lingua Italia ma è anche un modo di pensare diverso, più attento e giusto, a un fenomeno sociale pervasivo della nostra realtà quotidiana.
Vittime concrete e vittime astratte
Chiara Valerio, commentando la scelta di Treccani, su Repubblica riparte proprio dalle parole dell'amica e collega, scomparsa il 10 agosto: "Quando mi diceva e, soprattutto, scriveva che la parola femminicidio non indica il sesso della morta, ma il motivo per cui è stata uccisa e aggiungeva che la parola femminicidio non segnala solo che qualcuno è stato ammazzato, ma pure il perché è stato ammazzato,
io non le credevo. Ovviamente,
aveva - e avrà - ragione Michela Murgia alla quale le questioni astratte non interessavano. Il femminicidio non è questione astratta,
è la pratica attraverso la quale il sistema che chiamiamo società civile, ed è formato e sostenuto da uomini e donne,
punisce i deboli, gli irregolari, i non conformi. Dove debole, irregolare e non conforme significa il contrario di maschio bianco eterosessuale. E dove il debole, irregolare e non conforme più diffuso è la donna".
Michela Murgia e Chiara Valerio (Instagram)
Richiama Elena e Giulia Cecchettin, Valerio, per la sua analisi. Il femminicidio della studentessa veneta 22enne che ha fatto scattare una sorta di interruttore mentale, accendendo coscienze e riflessioni su questa pratica come non era mai accaduto in precedenza.
Ha acceso il rumore, ha fatto partire la sirena d'allarme, ha infiammato piazze reali e digitali. Giulia è stata "
Vittima concreta" come le altre donne che da inizio 2023 - "e, direi (da inizio) del tempo"- vengono uccise; noi, invece, del femminicidio siamo "
vittime astratte" e come tali lo sottovalutiamo "Se
Giulia Cecchettin è morta, tutte siamo a rischio e se siamo salve è per caso o fortuna, per una serie ininterrotta di gesti riusciti", scrive la scrittrice. E aggiunge, lucidamente: "Se caso e fortuna sono dirimenti allora la società che abbiamo costruito deve essere ripensata". La spietata e realistica riflessione di Chiara Valerio si chiude altrettanto cinicamente, come l'anno che sta per finire: "[...]
il femminicidio è prassi e le vittime astratte vantano le loro ragioni mentre le vittime concrete non possono più farlo perché morte". Perché tanto siamo esauste, esasperate, amareggiate nel leggere di femminicidi, di violenza di genere, di molestie e abusi sessuali, di subirli a nostra volta o vederli compiere, tanto ancora dobbiamo lottare, parola per parola, caso per caso, gesto su gesto, per chi non può più farlo, buttar giù la pillola dell'odio e dell'intolleranza e far sì che il
2024 diventi almeno l'anno del "rispetto".