Giustizia climatica cercasi: la cooling poverty è l’ennesima condanna per le fasce deboli

L'emergenza caldo aggrava le disuguaglianze e condanna le fasce più deboli a pagare il prezzo più alto. Le ingiustizie climatiche si fanno sentire anche in Italia, nonostante le buone intenzioni.

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI
17 agosto 2024
La cooling poverty

La cooling poverty

Nella battaglia contro la crisi climatica, a restare indietro sono – neanche a dirlo – i più vulnerabili. Mentre le élite globali, tra schermaglie politiche e dinamiche del tutto incompatibili con l’allarmante situazione in cui versa il Pianeta, si adoperano più o meno alacremente per mettere in atto piani di riduzione delle emissioni e innovazioni verdi, miliardi di persone stanno facendo i conti con nuove ingiustizie dovute anche al climate change.

Tra queste, una delle new entry è la cosiddetta “​​​​​​povertà da raffreddamento” (in inglese cooling poverty), un fenomeno che rischia di trasformarsi in breve tempo in una delle più esplosive dinamiche dell’epoca contemporanea e che risponde alle solita e logora logica: chi ha meno risorse, paga il prezzo più alto.

Cos’è la cooling poverty 

Mentre le temperature globali continuano a salire, l’accesso al raffreddamento non è più un lusso, ma una necessità di base per la sopravvivenza. Eppure, per milioni di persone che vivono nei Paesi più caldi, l’aria condizionata – o anche solo un ventilatore – sono letteralmente irraggiungibili. La situazione si fa ancora più complessa quando ci si allontana dai centri urbani e ci si avvicina a zone in cui l'energia elettrica è intermittente o del tutto inesistente. Uno dei Paesi più a rischio è il Pakistan, in cui ondate di caldo record hanno trasformato città come Jacobabad in forni a cielo aperto, dove la vita quotidiana è un tormento e il rischio di morte a causa di colpi di calore è costantemente dietro l’angolo.

Guai a pensare che si tratti di un problema lontano dalle nostre latitudini e longitudini. La povertà da raffreddamento si sta trasformando in una condanna per il mondo intero e chi la interpreta come una semplice privazione di un comfort a cui è possibile rinunciare sbaglia di grosso. La faccenda è ben più grave e, senza interventi decisi e immediati, non farà che peggiorare. Il primo documento in cui si è affrontato il tema della “cooling poverty”, pubblicato su Nature Sustainability e condotto da ricercatori di diverse istituzioni, tra cui l'Università Ca' Foscari Venezia e la Fondazione CMCC, non lascia spazio a dubbi: quella con cui abbiamo a che fare non è solo povertà energetica, ma un insieme di vulnerabilità legate all'inefficienza delle infrastrutture fisiche, sociali e intangibili. La definizione proposta da Antonella Mazzone, prima autrice dello studio, sottolinea come la mancanza di adeguate infrastrutture esponga individui e famiglie agli effetti dannosi del caldo umido crescente.

Le cinque dimensioni da tenere presenti 

Per comprendere appieno questo fenomeno, i ricercatori hanno identificato cinque dimensioni chiave di cui tenere conto per stabilire il livello di gravità nei singoli contesti: clima, infrastrutture, disuguaglianze sociali, salute pubblica e istruzione, standard lavorativi. Soffermandosi su ciascuna di esse, si ha la possibilità di comprendere nitidamente che le persone più vulnerabili come gli anziani o chi vive in condizioni di povertà sono le più esposte ai rischi del caldo eccessivo.

Il monito è di stare alla larga dalle generalizzazioni: la mancanza di aria condizionata non è certo l'unico indicatore di cooling poverty. Lo stato delle abitazioni, la possibilità di accedere all'acqua potabile nei luoghi all’aperto e il rispetto delle norme di lavoro da applicare durante le ondate di calore giocano un ruolo cruciale per una valutazione complessiva. Inutile dire che, per porre rimedio a una simile e letteralmente incandescente situazione, servono interventi rapidi e risolutivi. Aumentare il numero dei sistemi di condizionamento non basterà. Serve piuttosto migliorare la pianificazione urbana, aumentare la consapevolezza di cittadine e cittadini e sviluppare politiche efficaci per proteggere i più vulnerabili, come già avviene in Italia con il sistema di allerta per le ondate di calore e le norme sul lavoro in condizioni di caldo estremo.

La parola chiave è “adattamento”. Se non agiamo ora, il futuro sarà una spirale discendente di disuguaglianze sempre più profonde. Il punto, però, è che non ci sarà giustizia climatica finché non ci sarà giustizia per tutti. E tale giustizia, al momento, è solo un miraggio.