Hamzah Saadah, conosciuto su Instagram come @absorberyt, è un attore e attivista palestinese che, grazie al supporto di Al Jazeera, ha denunciato nei giorni scorsi un presunto caso di censura da parte della piattaforma. Ma facciamo un passo indietro: Hamzah Saadah, attraverso i social, racconta le drammatiche condizioni vissute dai civili a causa della guerra (che potrebbe essere a un punto di svolta, grazie alla tregua siglata tra Hamas e Israele, ndr). I suoi video, diretti e senza filtri, diventano spesso virali – anche in Israele – e raggiungono un vasto pubblico.
Il suo approccio non si limita alla divulgazione: durante le dirette, a cui invita partecipanti in maniera estemporanea, Saadah si trova spesso a dibattere con uomini e donne israeliani, affrontando temi delicati come il ruolo del governo israeliano e le violenze perpetuate ai danni di civili, compresi i bambini. Questi confronti lo rendono bersaglio di insulti e attacchi, spesso basati su ideologie anziché su dati storici o una comprensione reale delle origini del conflitto. Dall'altra parte, non mancano interlocutori che rivendicano la Palestina come diritto divino del popolo ebraico, legittimando così qualsiasi azione nei confronti dei palestinesi.
Tra i suoi interlocutori, nel tempo, sono comparsi anche membri dell’IDF (Israeli Defense Forces). L’obiettivo della comunicazione di Hamzah Saadah è chiaro: combattere la disinformazione e documentare le atrocità commesse dall’esercito israeliano, parlando con coraggio e senza mezze parole. Tuttavia, questa missione ha un costo elevato. Solo pochi giorni fa, il suo profilo Instagram, con oltre un milione di follower, è stato sospeso per presunte violazioni delle linee guida della piattaforma. Il blocco è stato superato grazie al sostegno immediato dei suoi follower, che si sono mobilitati per ripristinare il profilo e consentirgli di proseguire il suo lavoro. Ma le difficoltà non si sono fermate qui: poche ore fa, Saadah ha denunciato un nuovo episodio inquietante.
Due notti fa, la polizia si è presentata alla sua porta a seguito di una segnalazione israeliana che lo accusava di possedere armi. Un’accusa che lui stesso ha definito un ulteriore prezzo da pagare per il suo impegno nel raccontare la verità.
Nonostante tutto, Hamzah Saadah ha ribadito attraverso le sue storie su Instagram che continuerà a parlare di Palestina “fino all’ultimo respiro”, nella speranza di un futuro di libertà. La sua storia è un esempio di coraggio e resilienza. In un momento di tregua tra le parti, dare voce a chi rischia la propria incolumità per raccontare la causa palestinese assume una forza straordinaria. Ma il punto è un altro: quanto le piattaforme digitali consentono realmente il racconto della verità? Quanti contenuti vengono bloccati, sabotati o censurati, senza la possibilità di tornare online come è accaduto a Hamzah Saadah? Quanta verità rimane sommersa perché considerata troppo pericolosa? La risposta, evidentemente, è: moltissima.
Così tanta da giustificare tentativi sistematici di imporre il silenzio. Eppure, la verità trova sempre una strada per emergere. Il web, in un modo o nell’altro, continuerà a giocare un ruolo cruciale nella sua difesa. Il vero rischio, guardando al futuro, potrebbe arrivare dalla deriva autoritaria di figure come Elon Musk e dai modelli che rappresentano. Le democrazie pacifiste del mondo farebbero bene a prenderne atto.