Iran, a processo le giornaliste che svelarono la storia di Mahsa Amini

Niloofar Hamedi e Elahe Mohammadi rischiano la pena di morte. E per protestare contro le impiccagioni la modella Mahlagha Jaberi sfila con un abito con un cappio al collo

di BARBARA BERTI
31 maggio 2023
Da sinistra: la Mahlagha Jaberi e le giornaliste Niloofar Hamedi e Elahe Mohammadi

Da sinistra: la Mahlagha Jaberi e le giornaliste Niloofar Hamedi e Elahe Mohammadi

In Iran è iniziato il processo alle giornaliste che hanno raccontato al mondo la storia di Mahsa Amini e, intanto, continuano le proteste contro il regime. Per dire no alle impiccagioni la modella iraniana Mahlagha Jaberi sfila con un abito con un cappio al collo.
 
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La tragica morte di Mahsa

Il 13 settembre 2022, mentre era con la famiglia a Teheran, la 22enne Mahsa Amini è stata fermata e arrestata dalla polizia locale perché non indossava correttamente l'hijab, che per le donne è obbligatorio in pubblico dalla rivoluzione islamica del 1979. E’ morta pochi giorni dopo, il 16 settembre nel reparto terapia intensiva dell'ospedale di Kasra, in seguito alle percosse ricevute dalla polizia che le hanno provocato un trauma cranico e poi il coma.
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Masha era originaria del Kurdistan iraniano e si trovava in vacanza con la famiglia a Teheran. Qui ha trovato la morte, a 22 anni, perché non indossava il velo

Secondo il rapporto medico, seguito all'autopsia effettuata a Teheran sul corpo della giovane iraniana, è morta per una malattia. La morte di Mahsa è diventata un simbolo della condizione femminile e della violenza esercitata contro le donne sotto la Repubblica islamica dell'Iran. Da quel giorno, in tutto il Paese si susseguono proteste di piazza al grido “Donne, vita, libertà”.
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La 22enne originaria del Kurdistan iraniano (Instagram)

Il processo alle giornaliste

Lo scorso 30 maggio, a Teheran, è cominciato il procedimento giudiziario a Niloofar Hamedi e Elahe Mohammadi, le reporter che per prime hanno raccontato al mondo la storia della 22enne, documentando le proteste e sfidando la censura. Le due donne sono state arrestate otto mesi fa e tutt’ora sono in carcere con accuse che possono portare anche a una condanna a morte.
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Niloofar Hamedi e Elahe Mohammadi, le reporter che per prime hanno raccontato al mondo la tragica storia di Mahsa (Instagram)

L’inizio del procedimento contro Hamedi è stato annunciato su Twitter da suo marito, Mohammad Hossein Ajorlou. L’uomo ha fatto sapere che la prima udienza è durata meno di due ore e che “i suoi avvocati non hanno avuto la possibilità di difenderla”. Inoltre, il marito ha raccontato che non è stato permesso di accedere al dibattimento nemmeno ai suoi familiari. Hamedi, ha 30 anni, lavora per il quotidiano progressista “Shargh” e da tempo è conosciuta per il suo lavoro sui diritti delle donne e delle minoranze.
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Hamedi, 30 anni, lavora per il quotidiano progressista “Shargh” e da tempo è conosciuta per il suo lavoro sui diritti delle donne (Instagram)

La giornalista è accusata di una serie di reati, tra cui quello di “collusione con poteri ostili”, proprio per la sua copertura della morte della 22enne. Insieme a lei è sotto procedimento anche la giornalista Elaheh Mohammadi, sempre per il racconto del caso Amini. Hamedi quel famoso 16 settembre 2022 era riuscita a entrare nell’ospedale dove la giovane era ricoverata, e a fotografare i suoi genitori che si abbracciavano fuori dal reparto dove si trovava la figlia. Hamedi pubblicò quella foto su Twitter poco dopo che la 22enne venne dichiarata morta: fu la prima cronista a documentare l’accaduto e da quel momento la notizia iniziò a diffondersi molto rapidamente sui social network. E le proteste iniziarono lo stesso giorno.
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I genitori di Amini che si abbracciano fuori dal reparto dove si trovava la figlia: la foto è stata pubblicata su Twitter da Hamedi

Dopo la pubblicazione della foto, l’account Twitter di Hamedi venne sospeso e lei venne arrestata il successivo 22 settembre. Nei giorni successivi suo marito disse che la moglie era stata portata nel carcere di Evin, nel nord di Teheran, e messa in isolamento.

Il vestito con il cappio al collo

Per protestare contro le impiccagioni, la modella iraniana Mahlagha Jaberi - all'ultimo Festival del Cinema di Cannes – si è presentata con un vestito molto particolare, scatenando la polemica.
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La modella iraniana Mahlagha Jaberi, all'ultimo Festival del Cinema di Cannes

L’abito nero, della designer Jila Saber, presentava uno scollo sul seno su cui era stato applicato un cappio: una evidente forma di protesta contro le recenti impiccagioni del regime iraniano. Inoltre, sullo strascico, l'abito riportava la scritta “Stop executions” ovvero fermate le esecuzioni. Molte le critiche dei commentatori politici. Il giornalista statunitense di origine iraniana Yashar Ali, per esempio, ha condannato la scelta di Jaberi su Twitter, definendola "assolutamente vergognosa".
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L’abito nero della designer Jila Saber: scollo sul seno su cui è applicato un cappio e strascico con la scritta “Stop executions” (Instagram)

In risposta alle critiche, Jaberi ha spiegato che l'obiettivo era attirare l'attenzione sui massacri ingiusti del popolo iraniano e che il messaggio del “cappio” era stato compreso nonostante le restrizioni del festival che non permettevano dichiarazioni politiche. Secondo Human Rights Watch, le esecuzioni in Iran sono in aumento, con numerosi casi di processi ingiusti e accuse discutibili che portano alla pena di morte.