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Giornalisti nel mirino: 533 incarcerati e 58 morti nel 2022. Il rapporto di Reporter senza fontiere

In 10 anni, dal 2012, sono state uccise 52 giornaliste. L'Iran sale al terzo posto come Paese con più detenuti, a guidare la classifica mondiale è la Cina

di GIOVANNI BOGANI -
1 gennaio 2023
POLITKOVSKAIA: 10 ANNI DALLA MORTE

POLITKOVSKAIA: 10 ANNI DALLA MORTE

Un nuovo record, non piacevole e non promettente. Il numero di giornalisti incarcerati nel mondo – e finiti in prigione non per altri motivi, ma nell’esercizio del loro mestiere – ha raggiunto il numero record di 533, secondo Reporter senza frontiere e il suo rapporto annuale sulla libertà di stampa. Otto sono i giornalisti morti nel corso della guerra in Ucraina. Fra loro, il fotoreporter ucraino Maks Levin, ucciso il 13 marzo da un gruppo di soldati russi, e il giornalista della tv francese Bfm Frédéric Leclerc-Imhoff, ucciso da un colpo di mortaio mentre riprendeva un’evacuazione di civili. Cinquantotto, in tutto il mondo, hanno perso la vita quest’anno. "Dietro le cifre, ci sono i volti, ci sono la personalità, il talento e l’impegno di coloro che hanno pagato con la vita la loro ricerca di informazioni, la loro ricerca della verità e la loro passione per il giornalismo. Reporter senza frontiere non smette di documentare l’ingiustificabile violenza che colpisce specificamente i professionisti dei media. Questa fine d’anno 2022 è l’occasione per rendere loro omaggio e per lanciare un appello per il rispetto assoluto della sicurezza dei giornalisti, ovunque si trovino a lavorare, e a testimoniare la realtà del mondo", dice Christophe Deloire, segretario generale di Reporter senza frontiere. Un terzo del numero complessivo delle vittime di quest’anno si trovava in Siria e in Iraq, che appaiono ai primi posti fra i paesi più pericolosi per la professione. È la Cina, invece, il Paese con il più grande numero di giornalisti in carcere. Attualmente sono 110. Nella Repubblica islamica dell’Iran, che sta vivendo mesi tragici nel segno di una feroce repressione del dissenso, i giornalisti detenuti sono 47: è già il terzo più grande "carceriere" di reporter al mondo.

Tra le vittime più note degli ultimi anni il giornalista saudita Jamal Khashoggi, ucciso nell'ambasciata araba a Istanbul

Fra le giornaliste detenute, Nilofar Hamedi e Elahe Mohammadi, che avevano contribuito ad attirare l’attenzione sulla morte di Mahsa Amini, la giovane curda iraniana massacrata dalla polizia morale perché non indossava correttamente il velo, adesso rischiano la pena di morte. Il Paese europeo con il maggior numero di giornalisti uccisi negli ultimi vent’anni resta la Russia. Sono 25: e fra i giornalisti uccisi, il caso di Anna Politkovskaja, che aveva aspramente criticato il governo russo di Vladimir Putin, e assassinata a Mosca il 7 ottobre 2006. Aveva scritto, prima di morire: "Stiamo precipitando di nuovo in un abisso sovietico, in un vuoto di informazioni che significa morte per la nostra ignoranza. Se vuoi continuare a lavorare come giornalista sei costretta al totale servilismo per Putin. Altrimenti può essere la morte, il proiettile, il veleno o il processo". Anna Politkovskaya non è la sola giornalista ad aver incontrato questo tragico destino: dal 2012, 52 giornaliste sono state uccise, soprattutto in relazione alle loro inchieste sui diritti delle donne. È un record, quest’anno, anche il numero delle giornaliste donne imprigionate. Sono attualmente 78 dietro le sbarre, il 30 per cento in più rispetto al 2021. "I regimi dittatoriali e autoritari effettuano un ‘riempimento’ accelerato delle loro prigioni incarcerando dei giornalisti. Questo nuovo record del numero di giornalisti detenuti conferma l’imperiosa e urgente necessità di resistere a questi poteri senza scrupoli e di esercitare la nostra solidarietà attiva verso tutti coloro che portano gli ideali di libertà, di indipendenza e di pluralismo delle informazioni", scrive Christophe Deloire, commentando la cifra. Si potrebbe pensare che la stragrande maggioranza delle morti dei giornalisti avvengano in Paesi in stato di guerra. È vero il contrario: oltre il 60% dei giornalisti uccisi sono morti in paesi considerati "in pace". Muoiono per le loro indagini sul crimine organizzato o sulla corruzione, sul traffico di stupefacenti, sui cartelli della droga. Quasi la metà dei giornalisti uccisi nel 2022 si concentra nel continente sud americano – Messico, Brasile, Colombia – che secondo Reporter senza frontiere è il continente più pericoloso per i media. Ci sono anche i giornalisti tenuti in ostaggio. Come il francese Olivier Dubois, da più di venti mesi nelle mani del Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (JNIM), un gruppo maliano affiliato ad Al Qaeda, e l’americano Austin Tice, prigioniero in Siria ormai da più di dieci anni.

Il continente sud americano è il più pericoloso per i media

Alcuni casi di detenzione sono sconvolgenti: come quello di Ivan Safronov, uno dei migliori giornalisti investigativi russi, condannato a 22 anni di carcere per aver rivelato dei "segreti di Stato", segreti che erano già di dominio pubblico su Internet. È la pena più pesante registrata nel 2022 da RSF. O il caso del giornalista britannico Dom Phillips, il cui corpo dilaniato è stato ritrovato in Amazzonia. Phillips documentava la lotta delle tribù locali contro la caccia illegale e contro lo sfruttamento delle foreste. L’associazione Reporters sans frontières compila da ventisette anni un report annuale di violenze e abusi contro i giornalisti, sulla base di dati raccolti e verificati attentamente. I dati includono giornalisti professionisti, non professionisti e operatori dei media. Le informazioni raccolte da RSF consentono di affermare con certezza quasi assoluta che l’arresto, la scomparsa, il rapimento o la morte di ciascun giornalista è un risultato diretto del suo lavoro.