Jasmine Paolini “Bellissima”, Sinner “un mito”: il doppio (standard) sessista

La tennista toscana ha vinto in semifinale ed è la prima italiana ad andare in finale a Wimbledon. Ma il principale giornale sportivo si concentra sull’estetica. In una società maschilista anche lo sport è pieno di stereotipi

di MARIANNA GRAZI -
12 luglio 2024
La prima pagina della Gazzetta dello Sport e il titolo su Jasmine Paolini: "Bellissima"

La prima pagina della Gazzetta dello Sport e il titolo su Jasmine Paolini: "Bellissima"

Jasmine Paolini è bravissima, è forte, è sicuramente anche nel momento più luminoso della sua carriera fino ad ora. Sì, può essere anche etichettata come bella ma non in questo contesto. Che non è quello adatto a certi giudizi. Non lo è per niente, nulla togliere all’aspetto esteriore della giocatrice.

A 28 anni, originaria di Castelnuovo in Garfagnana (Lucca), è la prima tennista italiana della storia ad arrivare in finale al trofeo di Wimbledon. Una partita da applausi, la sua: ha battuto la coetanea croata Donna Vekic al tie break del terzo set, con una rimonta da batticuore che ha tenuto incollati migliaia di italiani al televisore per tifare l’azzurra. Un’impresa che però finisce, come nella migliore delle tradizioni per essere sminuita con un titolo di quelli che a leggerli ti fanno perdere le speranze. Fanno storcere il naso, perché non serve essere ipersensibili per capire che in quel titolo c’è qualcosa che stona.

La gioia di Jasmine Paolini
La gioia di Jasmine Paolini

Prima pagina del principale quotidiano sportivo nazionale, La Gazzetta dello Sport, sotto la foto dell’azzurra e un cuore tricolore cè il titolone: “Bellissima”. Riferito a Paolini, alla partita, alla rimonta non è dato sapersi. Ma l’impressione è che se la siano cavata in modo semplicistico, mettendo un po’ tutto insieme. E nel cuore verde bianco e rosso? “Jasmine campionessa di normalità”. Insomma la nostra campionessa è bella e normale, sembra quasi un acso che sia finita lì, in finale, e quindi in prima pagina.

E se fosse stato un uomo, avrebbero aperto definendo il tennista “bellissimo”? Non prendiamoci in giro, sarebbe stata piuttosto esaltata la sua grinta, la sua forza, la sua bravura in campo, le sue gesta atletiche incredibili. Anzi, lo sappiamo bene com’è andata, avendo un esempio recentissimo a disposizione: Jannik Sinner che arriva in finale agli Australian Open, è “un mito”

Paolini, anzi Jasmine la campionessa normale’, è “bellissima”. Un confronto inevitabile e doloroso, che evidenzia in una manciata di parole una differenza di trattamento gigante. E non c’era nemmeno bisogno di impegnarsi tanto, basta guardare ai concorrenti, come il corriere dello sport, ad esempio, che titola “Jasmitica”.

"Sei un mito" titolava la Gazzetta quando Sinner è volato in finale agli Australian Open
"Sei un mito" titolava la Gazzetta quando Sinner è volato in finale agli Australian Open

Ma tant’è anche questa volta – perché non è la prima né l’ultima – ci siamo ricascati. Uso il plurale perché a fare certi tipi di errori siamo noi giornalisti e giornaliste, chi più chi meno, in tutti i quotidiani, (quasi) nessuno escluso. Il problema è culturale, lo sappiamo, e dobbiamo entrare nell’idea che anche dal nostro lavoro, dall’utilizzo del linguaggio corretto, ampio, inclusivo e rispettoso, passa l’eliminazione delle differenze di genere; da qui si può partire per costruire, mattoncino dopo mattoncino, una società più giusta ed equa.

Invece si ricasca puntualmente negli stessi stereotipi sessisti dell’uomo sportivo atletico e talentuoso e della donna sportiva umile, normale, bella nonostante lo sforzo, la fatica doppia del conquistare vittorie dentro e fuori dal campo. Continuando così a portare avanti società maschiocentrica e maschilista che, ammettiamolo, ha ormai stufato. Le nostre atlete sono campionesse, belle o brutte – ma per chi poi, chi siamo per giudicarle? – che siano chi se ne importa. Non siamo mica ad un concorso di bellezza...