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Home » Attualità » Il viaggio di Kambrat: da calciatore a rifugiato per scappare dalla guerra in Etiopia

Il viaggio di Kambrat: da calciatore a rifugiato per scappare dalla guerra in Etiopia

Il 38enne è scappato dalla sua nazione a causa del conflitto armato. Adesso cerca lavoro e ha un sogno: portare la sua famiglia in Italia

Carlo Casini
14 Ottobre 2022
Kambrat

Kambrat

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Ci sono storie nelle piazze, che ci passi accanto, e neppure te le immagini. Storie che sembrano uscite da un film, eppure sono vere. Storie di sofferenza, umanità, coraggio, gratitudine, umiltà, che rimangono inascoltate, mentre la legittima speranza di un’occasione di rinascita sta lì, sgretolandosi pian piano.
Come quella di Kambrat, 38 anni, di cui 12 in Italia e quasi 4 per arrivare qui da un’Etiopia massacrata dalla guerra e ancora lontana dalla democrazia.

Il 38enne appena arrivato in Italia stava per diventare un calciatore professionista, ma non aveva i documenti

Il viaggio della speranza e il tanto atteso attracco in Italia

Un viaggio stremante, dove ha vissuto l’inferno, spesso trattato più da schiavo che da essere umano: “Sono dovuto scappare perché in Etiopia c’è ancora la guerra – racconta il rifugiato – Poi c’è il solito capo di governo da 27 anni, è come una dittatura. Sono arrivato a Lampedusa con la barca dopo un viaggio lunghissimo, sono stato fermo sei mesi in Sudan e tre anni in Libia. Ho sempre lavorato, sia in Sudan che in Libia, in condizioni durissime. In Libia la polizia entrava nei campi profughi di notte e ci sequestrava i soldi che avevamo guadagnato il giorno. Quanto ci ho messo per mettere da parte mille euro! Tanti miei compaesani, in quel viaggio, purtroppo, sono morti”.

Poi finalmente l’attracco in Italia: “Gli italiani sono bravi, mi hanno sempre aiutato, devo ringraziarli. Anche in Etiopia lavoravo per un italiano, facevo il falegname: Salvatore, di padre italiano e madre etiope, che lì ha messo su un’azienda con duecento dipendenti”. Un senso di gratitudine tanto forte che l’uomo ha messo a rischio la sua stessa incolumità, a fine maggio, in piazza Tasso, quando è intervenuto per distogliere un giovane nordafricano che stava molestando mamme e bambini nel parco, ricevendo per tutta risposta una scarica di cazzotti che gli hanno causato un trauma cranico e una frattura al naso: “Ho preferito che si sfogasse su di me, piuttosto che sulle mamme”, spiega umilmente. Un intervento coraggioso che è rimasto nel cuore delle mamme che frequentano il giardino, seppur passato in sordina.

“La mia speranza è quella di far venire la mia famiglia qui”

Kambrat aveva anche una carriera avviata nel calcio: “Giocavo per una squadra di serie B – ricorda orgoglioso – La mattina lavoravo, la sera andavo a scuola e al contempo giocavo a pallone. Con il calcio poi ho smesso perché nel mio Paese i giocatori sono più giovani che qui. Ma quando sono arrivato in Italia, stavo per essere preso nella serie C del Crotone: all’ultimo però non mi presero perché non avevo ancora i documenti“.
Adesso ha ottenuto lo status di asilo politico, e seppure in povertà, può vivere al sicuro. Tuttavia la mancanza dei cari si fa sentire: “Non vedo mia moglie e i miei figli da dodici anni, ci sentiamo per telefono. Non posso tornare a trovarli, non sono potuto andare neanche al funerale di mio padre, perché è pericoloso, non so cosa mi farebbero se rientrassi. La mia speranza è da sempre quella di far venire la mia famiglia qui, ma finché non ritrovo un lavoro che mi permetta di affittare una casa, di provvedere a tutti loro come faccio a farli venire? Per questo sto ricercando una qualsiasi occupazione. Fino a tre mesi fa ho lavorato come magazziniere a Calenzano, ma non mi hanno rinnovato. Purtroppo, come falegname, in Italia, a 38 anni sono considerato troppo vecchio per ricominciare, ma mi va bene qualsiasi lavoro che mi consenta di rendermi autonomo”, fa appello Kambrat.

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"In concerto facciamo molti brani nostri, nuovi e vecchi, ci siamo portati dietro qualche cover, delle parti strumentali. A livello umano per noi i concerti sono un vero e proprio incontro con le persone che comprano il biglietto. Usiamo i live come un salotto, una festa in cui vogliamo divertirci." 

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  • Si chiama Olesya Krivtsova, ha 19 anni ed è russa. Segni particolari: un tatuaggio contro Putin, rischia fino a 10 anni di carcere.

L’adolescente originaria della regione dell’Arkhangelsk (che si trova a nord-ovest della Russia) da alcuni mesi si trova agli arresti domiciliari, nell’appartamento della madre a Severodvinsk. Un dispositivo di localizzazione, che le hanno applicato alla caviglia, ne traccia ogni spostamento: non è autorizzata ad accedere a Internet né a comunicare con l’esterno.

La ragazza è stata definita terrorista ed estremista e messa sullo stesso piano di talebani e appartenenti a Isis e al Qaeda. La sua colpa? Aver condiviso su Instagram una storia sull’esplosione del ponte di Crimea in ottobre scorso, criticando la Russia per aver invaso l’Ucraina. La studentessa Krivtsova, secondo quanto riporta la Cnn, “sta anche affrontando accuse penali per aver screditato l’esercito russo in un presunto repost critico della guerra in una chat studentesca sul social network russo Vk”. 

Le posizioni dell’allieva della scuola di scienze sociali dell’Università federale dell’Artico (Narfu) in merito all’invasione della Russia in Ucraina sono ben chiare, tanto che la giovane si è tatuata sulla caviglia la faccia del presidente russo Vladimir Putin su un corpo di un ragno. Accanto, la parole “il Grande Fratello ti sta guardando”.

Di Barbara Berti ✍

#lucenews #lucelanazione #russia
Ci sono storie nelle piazze, che ci passi accanto, e neppure te le immagini. Storie che sembrano uscite da un film, eppure sono vere. Storie di sofferenza, umanità, coraggio, gratitudine, umiltà, che rimangono inascoltate, mentre la legittima speranza di un’occasione di rinascita sta lì, sgretolandosi pian piano. Come quella di Kambrat, 38 anni, di cui 12 in Italia e quasi 4 per arrivare qui da un’Etiopia massacrata dalla guerra e ancora lontana dalla democrazia.
Il 38enne appena arrivato in Italia stava per diventare un calciatore professionista, ma non aveva i documenti

Il viaggio della speranza e il tanto atteso attracco in Italia

Un viaggio stremante, dove ha vissuto l’inferno, spesso trattato più da schiavo che da essere umano: "Sono dovuto scappare perché in Etiopia c’è ancora la guerra – racconta il rifugiato – Poi c’è il solito capo di governo da 27 anni, è come una dittatura. Sono arrivato a Lampedusa con la barca dopo un viaggio lunghissimo, sono stato fermo sei mesi in Sudan e tre anni in Libia. Ho sempre lavorato, sia in Sudan che in Libia, in condizioni durissime. In Libia la polizia entrava nei campi profughi di notte e ci sequestrava i soldi che avevamo guadagnato il giorno. Quanto ci ho messo per mettere da parte mille euro! Tanti miei compaesani, in quel viaggio, purtroppo, sono morti". Poi finalmente l’attracco in Italia: "Gli italiani sono bravi, mi hanno sempre aiutato, devo ringraziarli. Anche in Etiopia lavoravo per un italiano, facevo il falegname: Salvatore, di padre italiano e madre etiope, che lì ha messo su un’azienda con duecento dipendenti". Un senso di gratitudine tanto forte che l’uomo ha messo a rischio la sua stessa incolumità, a fine maggio, in piazza Tasso, quando è intervenuto per distogliere un giovane nordafricano che stava molestando mamme e bambini nel parco, ricevendo per tutta risposta una scarica di cazzotti che gli hanno causato un trauma cranico e una frattura al naso: "Ho preferito che si sfogasse su di me, piuttosto che sulle mamme", spiega umilmente. Un intervento coraggioso che è rimasto nel cuore delle mamme che frequentano il giardino, seppur passato in sordina.

"La mia speranza è quella di far venire la mia famiglia qui"

Kambrat aveva anche una carriera avviata nel calcio: "Giocavo per una squadra di serie B – ricorda orgoglioso – La mattina lavoravo, la sera andavo a scuola e al contempo giocavo a pallone. Con il calcio poi ho smesso perché nel mio Paese i giocatori sono più giovani che qui. Ma quando sono arrivato in Italia, stavo per essere preso nella serie C del Crotone: all’ultimo però non mi presero perché non avevo ancora i documenti". Adesso ha ottenuto lo status di asilo politico, e seppure in povertà, può vivere al sicuro. Tuttavia la mancanza dei cari si fa sentire: "Non vedo mia moglie e i miei figli da dodici anni, ci sentiamo per telefono. Non posso tornare a trovarli, non sono potuto andare neanche al funerale di mio padre, perché è pericoloso, non so cosa mi farebbero se rientrassi. La mia speranza è da sempre quella di far venire la mia famiglia qui, ma finché non ritrovo un lavoro che mi permetta di affittare una casa, di provvedere a tutti loro come faccio a farli venire? Per questo sto ricercando una qualsiasi occupazione. Fino a tre mesi fa ho lavorato come magazziniere a Calenzano, ma non mi hanno rinnovato. Purtroppo, come falegname, in Italia, a 38 anni sono considerato troppo vecchio per ricominciare, ma mi va bene qualsiasi lavoro che mi consenta di rendermi autonomo", fa appello Kambrat.
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