La
guerra all'Ucraina e quella alla comunità arcobaleno. L'una non esclude l'altra per il Cremlino, che prosegue imperterrito sia nell'
offensiva militare che nella sua
battaglia sul terreno dell’
omotransfobia. Due tribunali russi hanno infatti condannato recentemente
Meta e TikTok: il colosso web americano e il social network cinese sono stati giudicati colpevoli in base alla
legge sulla "propaganda Lgbtq", non avendo rimosso alcuni post ritenuti "pericolosi" per i minori o contrari alla linea di Mosca sul tema.
Le due sentenze
Vladimir Putin, presidente della Federazione Russa dal 2012, ha promulgato una legge che vieta la "propaganda Lgbt" per proteggere i minori
Il tribunale di Taganskij, distretto centrale di Mosca, ha multato Meta, il gruppo fondato da Mark Zuckerberg che controlla Instagram, Facebook e Whatsapp, a pagare
quattro milioni di rubli, circa 50mila euro, dopo che la società si è rifiutata di cancellare dalle sue piattaforme contenuti che inciterebbero alla "propaganda Lgbtq". Per motivi analoghi anche il social più in voga tra i giovani, di proprietà del gruppo cinese ByteDance, è stato condannato al pagamento di una multa di
due milioni di rubli, circa 25mila euro.
La legge sulla propaganda Lgbt
Dal 2013 in Russia è in vigore una legge, fortemente voluta dal presidente Putin, che secondo i suoi fautori ha "lo scopo di
proteggere i minori dalle informazioni che promuovono
la negazione dei valori tradizionali della famiglia", nota poi come "legge russa sulla propaganda gay" o "legge anti-gay". L'obiettivo dichiarato del governo è quello di 'proteggere' i bambini dall'esposizione all'
omonormatività (l'idea che presenta l'omosessualità come una questione normale nella società), sostenendo che essa contraddice i valori tradizionali della famiglia. La legge mette quindi al bando la "propaganda omosessuale" tra i minori, il che significa che sono assolutamente vietate anche le marce dell’orgoglio gay e lo sfoggio –in qualsiasi momento o luogo – di bandiere arcobaleno.
Attivisti Lgbt protestano per i loro diritti negati dal Cremlino
Nove anni fa l'approvazione di questa norma ottenne ampio
consenso in tutto il popolo russo, anche se al di fuori dei confini federali è stata a più riprese
condannata: dal Consiglio d'Europa (di cui la Russia era membro e ha annunciato l'uscita dopo l'avvio della guerra in Ucraina), dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia e da gruppi per i diritti umani, come Amnesty International e Human Rights Watch. La legge è stata anche aspramente
criticata per aver portato a un
aumento della violenza omofobica e una giustificazione di Stato per perpetrarla.
La conseguenze della guerra in Ucraina
Molte persone Lgbt sono già fuggite dall'Ucraina per paura di ulteriori ritorsioni da parte delle truppe russe a causa della loro identità di genere e del loro orientamento sessuale
Proprio a questa legge del 2013 "anti-gay" fanno riferimento, ormai da tre mesi, da quando ha preso il via l'invasione in Ucraina, gli attivisti internazionali, temendo un escalation di violenza nei confronti degli
esponenti Lgbt del Paese. La duplice sentenza contro Meta e TikTok appare quindi innanzitutto come un passo ulteriore della censura russa nei confronti di un’intera comunità, criminalizzata e perseguita dal Cremlino tanto quanto dal capo della Chiesa ortodossa, il patriarca russo Kirill, che come riporta
Gay.it si è spinto addirittura fino al giustificare la guerra in Ucraina affermando che "per entrare nel club di quei Paesi è necessario organizzare una parata del gay pride". In secondo luogo la decisione dei giudici russi va anche a confermare la battaglia tutt'altro che secondaria del presidente Putin contro i social network, in particolare quelli posseduti da Meta, che sarebbero colpevoli di diffondere informazioni sul conflitto (ricordiamo che in Russia è
vietato parlare di guerra all'Ucraina, spacciata invece come "
operazione militare speciale") false o partigiane. Addirittura
Facebook e Instagram sono state bandite dalla Federazione a marzo, a causa del loro "estremismo" durante le prime settimane del conflitto.