Maysoon Majidi resta in carcere: lacrime in aula per l’attivista curdo-iraniana

Il Tribunale di Crotone ha rifiutato la richiesta dei domiciliari per la 28enne accusata di essere stata la scafista dell’imbarcazione che ha portato lei, il fratello e altri 77 migranti in Italia

di CHIARA CARAVELLI
27 luglio 2024
Maysoon Majidi

Maysoon Majidi

Niente domiciliari, l’attivista curdo-iraniana Maysoon Majidi resta in carcere. Lo ha deciso il tribunale di Crotone, rigettando l'istanza di modifica della misura cautelare dal carcere agli arresti domiciliari a conclusione della prima udienza del giudizio immediato.

L’attivista 28enne è stata arrestata dalla Guardia di Finanza con l'accusa di essere la scafista di una imbarcazione che ha condotto in Italia 77 persone sbarcate in località Gabella, in provincia di Crotone, il 31 dicembre 2023. La giovane è stata costretta a lasciare l'Iran nel 2019 dopo aver partecipato alle proteste contro il regime. È scappata nel Kurdistan iracheno continuando il suo attivismo per le donne curde e iraniane, ma ha dovuto lasciare anche l'Iraq e per questo si è imbarcata per raggiungere l'Europa.

Durante l’udienza dei giorni scorsi, Majidi (che dopo il terzo sciopero della fame pesa soltanto 35 chili) ha preso la parola leggendo le sue dichiarazioni: “Io e mio fratello – ha detto – abbiamo fatto questo viaggio per salvarci la vita ed essere liberi in Europa. Ho iniziato a litigare con una donna che prima di partire aveva preso a tutti i cellulari. A quel punto ho detto che quando saremo arrivati li avrei denunciati alla polizia italiana perché ci stavano maltrattando. Questo ha scatenato antipatia e odio nei miei confronti da parte di chi stava in coperta. La mia minaccia di denuncia probabilmente ha dato agli altri una immagine distorta di me e per questo hanno pensato che dovessi essere incolpata”.

Dopo aver sentito il giudice negarle i domiciliari, Maysoon, piangendo, ha chiesto al tribunale di poter mostrare due foto che, a suo dire, la scagionerebbero. In una si vedono lei e il fratello sottocoperta, nell'altra una donna vicino allo scafista. “Questa – le sue parole – è quella che mi ha preso il cellulare. Mi si incolpa di essere una scafista ma si vede che la persona vicina al capitano è un'altra. Io e mio fratello eravamo sotto e ci vediamo nel video”. L’attivista curdo-iraniana ha sempre rigettato le accuse mosse sulla base di due testimonianze dei 77 migranti che la definiscono aiutante del capitano perché portava l'acqua agli altri.

Testimonianze sulle quali ci sono aspetti da chiarire, perché successivamente i testimoni hanno ritrattato sostenendo che la traduzione delle loro parole fosse errata. Nell'incidente probatorio (svolto dopo 5 mesi) però, le autorità italiane non sono riuscite a rintracciare i testimoni finiti in Germania e Inghilterra. A suo sostegno, gli antirazzisti hanno lanciato un appello alla mobilitazione internazionale: “Invitiamo coloro che credono nei diritti umani e nella giustizia giusta – così Filippo Sestito dell’Arci – a unirsi a noi nel sostenere Maysoon e tutte le altre persone private della propria libertà per esprimere contrarietà a leggi sbagliate che puniscono la solidarietà”.