"Mi toccava, diceva di volermi bene". Storie di abusi raccontate per strada

Non Una di Meno Firenze ha tappezzato la città con i messaggi, raccolti sui social dall'attivista Carolina Capria, che raccontano storie di abusi e di violenze

di TERESA SCARCELLA
9 settembre 2023
Non Una di Meno

Non Una di Meno

"Ciao Carolina, fa male leggere tutte queste storie. Sento però di dover raccontare anche la mia". Iniziano quasi tutte così le testimonianze, centinaia, raccolte dalla scrittrice femminista, molto attiva dentro e fuori dai social, Carolina Capria. Storie di abusi, violenze, molestie, che purtroppo accomunano tantissime donne di qualsiasi età e provenienza, che riescono a vincere il timore iniziale grazie al potere della condivisione. Leggere le testimonianze di altre donne, sapere di non essere da sole, gli fa avere la forza di raccontare ciò che hanno subito, mettendoci la faccia. Così, in quello spazio protetto che è diventato il profilo Instagram "L'ha scritto una femmina" di Carolina Capria, è nata una vera e propria rubrica dal nome (hashtag) "Yes all women", in antitesi con quel "Non tutti gli uomini" che è l'obiezione retorica che viene tirata fuori ad ogni storia di violenza di genere.
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Non Una di meno Firenze (Instagram)

Perché se è vero che non tutti gli uomini sono violenti o stupratori, è vero anche che questo non basta a salvare l'intera categoria e a deresponsabilizzarla. Al contrario qualsiasi donna, almeno una volta nella vita, può dire di aver subito una molestia sessuale. Che non deve essere per forza esplicita per essere tale, ma può nascondersi subdolamente anche in comportamenti apparentemente "ingenui" come uno sguardo o una battuta di troppo.

Storie di abusi sui muri di Firenze

Molte di queste storie oggi tappezzano i muri di alcune città italiane, come Firenze. I fogli con gli screen dei messaggi sono stati attaccati un po' ovunque in centro, da piazza Carlo D'Azeglio fino in Santa Croce. A farlo sono state le attiviste di Non una di meno Firenze, sulla scia del dibattito aperto in questi mesi a livello nazionale dopo gli ultimi fatti di cronaca: dallo stupro di Palermo a quello di Caivano, fino agli ultimi due femminicidi di Rossella Nappini e Marisa Leo.
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I volantini attaccati da Non Una di Meno per le vie di Firenze

"È solo una delle tante iniziative che abbiamo messo in campo - spiegano le attiviste - insieme alle manifestazioni che in questi giorni riempiono le piazze di tante città. Con lo scopo di sensibilizzare l'opinione pubblica, la società, su tematiche che ancora oggi finiscono per essere manipolate da una narrazione sbagliata e nociva, che lancia un messaggio completamente sbagliato. Una narrazione che punta il dito verso la vittima, la colpevolizza, le affibbia responsabilità che non ha e non deve assolutamente avere. Ogni volta che una donna subisce una violenza, si finisce per porsi domande su di lei, su com'era vestita, se aveva bevuto troppo, se era stata disponibile o se era fedele (nei casi in cui l'aggressore è il compagno o l'ex). Mentre dall'altra parte l'uomo perde i suoi tratti umani, comuni, per prendere quelli animaleschi della "bestia" o del "lupo". Indicativi di quegli istinti tipici di un essere privo di ragione, intesa come capacità di pensiero e di scelta. In questo modo si allontanano le colpe dal genere maschile e si attribuiscono a una cerchia ristretta di "orchi". Ma non è così. Nella stragrande maggioranza dei casi, a tradire la fiducia della donna è una persona a lei vicina o comunque insospettabile. Questi messaggi lo provano".

Le testimonianze raccolte

"Ero molto piccola, forse 5 o 6 anni - scrive una donna - ero a casa dei miei nonni e giocavo sul divano con mio zio. Giocavamo a fare la lotta quando lui, ad un certo punto, mi ha messo le mani nelle mutande. Non ne ho mai parlato con nessuno". "Avevo 14 anni, ero in Belgio per una vacanza studio - racconta un'altra - ospite a casa di una famiglia del posto, insieme ad una mia amica. In questa famiglia c'era un ragazzo di 18 anni. Una sera eravamo tutti insieme in un bar, c'erano anche i miei genitori, e mi sono accorta che questo ragazzo aveva in mano il mio bicchiere di cocacola, lo stava girando per scioglierci qualcosa dentro mentre rideva con un suo amico. Ho avuto paura". "Avevo 10 anni e aveva da poco perso mia madre - è il messaggio di un'altra donna - Passavo molto tempo a casa della mia migliore amica. Suo padre era molto gentile con me, poi sono cominciate le carezze, prima sulla guancia, il collo, la coscia. Diceva che lo faceva perché mi voleva bene. Poi ha iniziato a toccarmi in mezzo alle gambe, il petto. In ascensore mi metteva la mano sulla bocca, si strusciava e si masturbava su di me, mentre io ero paralizzata". "Ricordo che all'asilo c'era una stanza chiamata 'palestra'. Non era altro che un luogo con i materassi e giochi di gomma - è un'altra storia ancora - C'era una piccola casetta dentro, dove le femmine non potevano entrarci. O meglio, c'era un bambino (avrà avuto dai 3 ai 5 anni) che chiedeva alle bambine di vedere e toccare le loro parti intime per entrare. Questo non è sessualità perversa infantile, ma cultura della predominazione, radicata fin da piccoli". Storie che fanno rabbrividire, che causano fastidio, malessere. In alcune si possono trovare delle similitudini con le proprie esperienze. Far ritornare alla mente quell'episodio rimosso, accantonato o sottovalutato.
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Stop alla violenza sulle donne

"Educare alla sessualità è un bisogno urgente"

Questa è solo una piccolissima parte dei messaggi raccolti da Carolina Capria e che Non una di meno ha portato per strada. Quanto basta, però, per confermare quello che già si sa, ma che si ignora: è un fenomeno culturale. Trasversale tra l'altro. "E come tale va trattato - concludono le attiviste - Parlare di inasprimento della pena per gli autori di stupri, femminicidi, serve a poco se poi non si lavora anche sul loro reinserimento nella società. La recidività è appurata in molti casi, quindi una volta fuori dal carcere lo rifanno. È necessario, urgente, lavorare sul profilo culturale. Sull'educazione, fin da piccoli. Perché è evidente ormai che la cultura dello stupro è radicata anche nelle nuove generazioni. Da qui l'importanza di portare nelle scuole l'educazione emotiva, sessuale. Per insegnare fin da subito cosa è giusto e cosa è sbagliato. Ed è sbagliato, per entrare nel dibattito attuale, che siano le donne, le ragazze, a dover stare attente quando escono, a dover rimanere lucide, a camminare tenendo gli occhi aperti, a doversi vestire in un certo modo. Sarebbe giusto, invece, inculcare negli uomini, nei ragazzi, il rispetto per la donna".