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FamigliaDown
Qualche settimana fa l’Oms ha incluso tra i “birth defect”, i difetti alla nascita, anche la sindrome di Down. Aggiungendo la Trisomia 21 a un elenco di problematiche che si possono “prevenire e curare con un accesso a cure di qualità per madre e neonato”. Peccato che la sindrome di Down sia una condizione genetica che non si può né prevenire né curare: non è una malattia, è così e basta. Al più si può “eliminare” con un aborto terapeutico. Sono scelte, insindacabili. Ma davanti a questa affermazione dell’Oms sono state molte le famiglie che, nel mondo, hanno rivendicato il diritto dei loro figli e delle loro figlie a non essere identificati come “birth defect”. E saranno ancora di più quelle che oggi, lunedì 21 marzo, celebreranno la bellezza della diversità nella Giornata mondiale sulla sindrome di Down.
Istituita dall’Onu nel 2012, la data scelta non è casuale: il giorno 21 del terzo mese, a ricordare il nome ufficiale della sindrome, la Trisomia 21. Il tema di quest’anno è “Inclusion means” (inclusione significa) e l’obiettivo è raccontare chi sono le persone con la sindrome, cosa fanno, come vivono. Perché è inutile negarlo: sulla Trisomia 21 c’è ancora un grosso stigma. E la diagnosi, pre o post natale, piomba sui neo genitori come una condanna per la vita. Eppure in Italia ci sono circa 38mila persone con sindrome di Down, nel mondo nascono ogni anno tra i 3mila e i 5mila neonati con questa condizione.
La diagnosi di sindrome di Down è arrivata al parto. “Ho cominciato a piangere e ho pianto tre giorni - racconta Alessandra - senza che nessuno mi dicesse nulla. Avevo tante domande ma nessuno disposto a darmi risposte”. Per i neo genitori non c’è stato nessun tipo di assistenza pratica né aiuto psicologico, “siamo stati lasciati soli e non è solo colpa del Covid”. Mentre era ancora in ospedale Alessandra ha cominciato a cercare testimonianze su internet: “Ho trovato diversi articoli che raccontavano le storie di mamme e papà di figli con la sindrome. Ed erano storie di felicità. Quelle parole mi hanno dato tanta pace e ho deciso di smettere di tormentarmi sul futuro di Luna”. E partito da lì un percorso che ha spinto i due ad aprire un profilo social per dare a loro volta un messaggio di speranza a chi si fosse trovato nella stessa situazione: essere felici con la sindrome di Down è possibile. “Una cosa che abbiamo imparato grazie a nostra figlia è che conoscere sconfigge la paura", sottolinea
"Vogliamo far capire che l’ambiente in cui crescono questi bimbi fa tantissimo e può cambiare davvero il loro destino - sorride Alessandra - . Speriamo anche che il mondo smetta di guardarla e trattarla come una disabile, vogliamo far capire che non bisogna aver paura della diversità. Alla fine, chi può dire cos’è normale?”.
Sulla Giornata di oggi Alessandra è netta: “Non mi piacciono le giornate ad hoc, se poi non si fa niente durante il resto dell’anno. Si parla di inclusione ma l’inclusione non c’è, non è una priorità a nessun livello. C’è molto menefreghismo nei confronti di chi ha una disabilità, le famiglie non chiedono molto, solo i diritti di base”.
La Giornata mondiale sulla sindrome di Down
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I genitori di Luna hanno creato il profilo Instagram e la pagina web "Occhi di riso" per condividere un'immagine positiva della vita quotidiana della figlia
Il “movimento” in difesa delle persone con Trisomia 21
Mentre ci sono alcuni Paesi, come l’Islanda, dove grazie alla diagnosi prenatale si mira ad azzerare il numero dei nuovi nati con sindrome, in altri Paesi si sta prendendo la strada opposta. Sta nascendo, dal basso cioè dalle famiglie, una sorta di “movimento” che rivendica l’orgoglio di essere (o avere in famiglia) una persona con Trisomia 21. Il messaggio che si vuole mandare è molto chiaro: queste persone non sono la loro sindrome. Quel cromosoma in più è solo una delle loro caratteristiche, ma - come tutti - sono individui che vogliono il proprio posto nel mondo e rivendicano il diritto di essere felici. A fare da cassa di risonanza sono i social, soprattutto Instagram e Tik Tok, soprattutto negli Stati Uniti e nel Sudamerica.La storia di Luna e di “Occhi di riso”
Anche in Italia il vento sta cambiando. La bimba con sindrome di Down più famosa dei social è Alba Trapanese (425mila follower su Instagram), figlia di Luca, 44enne single che l’ha adottata appena nata. Meno famosa ma non meno stupenda è Luna, quasi due anni, la protagonista del profilo Instagram “Occhi di riso” insieme a mamma Alessandra Baruffato, medico nutrizionista di 37 anni, e Luca Renault, 35, ingegnere, della provincia di Varese. La loro è una storia di presa di consapevolezza, di orgoglio e amore incondizionati.
Luca Trapanese e la piccola Alba
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Alessandra, Luca e la loro piccola Luna
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Alessandra e Luca, che tiene sulle spalle la loro piccola Luna