
Adorazione è una serie diretta da Stefano Mordini e tratta dall'omonimo romanzo di Alice Urciuolo
Dallo scorso novembre, su Netflix è disponibile Adorazione, la serie (italiana) di Stefano Mordini che racconta benissimo quanto il nostro Paese sia ancora indietro anni luce sul fronte dell’educazione sentimentale. Attenzione a prenderlo con leggerezza: pur essendo un prodotto che racconta storie di adolescenza, porta con sé un significato potente, che dovrebbe farci riflettere su quanto poco si sia fatto in fatto di costruzione di un “noi” maturo e pienamente consapevole.
Adolescenti in una Sabaudia contemporanea
Al centro della narrazione ci sono le storie di un gruppo di adolescenti che, all’indomani della fine della scuola, si apprestano ad affrontare un’altra estate. Sullo sfondo una Sabaudia provinciale, che si porta dietro un retroterra culturale e politico ancora ingombrante e che sembra incidere non poco su una costruzione sociale ancora estremamente patriarcale, quasi a rispecchiare una cultura borghese che, evidentemente, in questa nostra bizzarra Italia è ancora ben presente.
La narrazione si snoda attorno alla scomparsa prima e alla morte poi di una delle protagoniste, Elena. Un elemento rispetto al quale ruotano tutti e sei gli episodi e le vicende delle ragazze e dei ragazzi. A pensarci bene, però, i veri protagonisti non sono le ragazze e i ragazzi, ma il vuoto relazionale ed emotivo che li affligge. Un peso da cui fanno fatica a liberarsi, ma che non sanno riconoscere.
Relazioni riempitive e l’assenza di amore
Sono tutti immersi in relazioni, ma più per riempire buchi dell’anima che per amore. Per convenzione, forse. Per cercare qualcuno con cui non sentirsi soli, da cui sentirsi riconosciuti per quello che si è, probabilmente. Ma per amore no. In Adorazione non c’è amore, c’è solo tanto dolore. Un dolore condiviso, esteso, personalissimo e collettivo, talmente tanto evidente da non essere percepito, da essere normalizzato, ridotto ai minimi termini, scarnificato e messo in un angolo.
Eppure, quel dolore compromette ogni dinamica: la mancanza di rapporti intergenerazionali, la privazione di un rapporto sano tra genitori e figli, l’assenza di dialogo, la presenza di padri ingombranti e autoritari e di madri troppo spesso sottomesse a dinamiche maschiliste sono inneschi perfetti per una spirale di violenza, droga, rapporti tossici in cui è facilissimo entrare, ma da cui è difficilissimo trovare ganci per uscire. Un’adorazione dell’altro che porta alla violenza, alla morte addirittura.

Il disagio emozionale dei giovani
E non sono solo storie che si vedono su schermo, sono fatti di vita reale, che troppo spesso fingiamo di non vedere. Il disagio emotivo e relazionale dei giovani è stato ben documentato anche dalla recente ricerca “La scuola degli affetti, indagine sull'educazione alle relazioni”, realizzata dall’Ufficio Studi di Coop con la collaborazione di Nomisma su 2.000 persone tra i 18 e i 64 anni.
Il 79% dei genitori intervistati pensa che sia fondamentale che la scuola promuova programmi e iniziative dedicate all’educazione alle relazioni, chiedendo corsi strutturati e momenti di approfondimento con esperti. Tuttavia, la ricerca ha rivelato che solo un genitore su cinque affronta con i figli temi come il rapporto di coppia e l'informazione sessuale. E i motivi sono rivelatori: l'imbarazzo (51%), la chiusura da parte dei figli (41%) e il timore di suscitare ansia (56%). Un quadro che conferma quanto l'educazione sentimentale sia ancora un tabù, un'assenza pesante che si riflette nelle relazioni future.
L’importanza della socialità
Il fatto è che quando non c'è la famiglia dovrebbe esserci la socialità – quella buona – a venire in soccorso. E invece no, i giovani d’oggi sono spesso soli, iperconnessi, ma avvolti da un vuoto pneumatico di incomunicabilità con il mondo, afflitti da problemi più grandi di loro e questioni tipiche della loro età, con famiglie emotivamente disastrate che neanche provano a fare quel che possono e se hanno l’occasione di sbagliare lo fanno.
L’idea è che quello dell’educazione sentimentale non sia solo un problema per giovani e giovanissimi, ma abbia assunto i contorni di una faccenda che riguarda tutte e tutti da vicino. Perché se è vero com'è vero che i giovani fanno fatica a trovare coordinate in un mondo che pare aver perso ogni punto di riferimento, è altrettanto vero che dai cinquanta ai trenta la situazione non è affatto migliore. Anzi, i guasti del presente sono proprio da rintracciare in quelle generazioni.
Vocabolario dei sentimenti
“Ho perso le parole, ho un buco dentro il cuore” canta Fabri Fibra, accompagnando il finale di ogni episodio, e non poteva trovare parole migliori per farlo. Gli adulti di oggi sono del tutto privi di un vocabolario dei sentimenti: è stato loro eradicato da una società profondamente egocentrica e incapace di tenere conto della somma del tutto. Il punto vero però non è tanto di chi sia la responsabilità del passato, ma chi ha intenzione di assumersi la responsabilità del futuro. I giovanissimi tenteranno qualcosa, ma con i dubbi che hanno dentro, con le lacerazioni e le cicatrici che si portano dietro, poco di meglio riusciranno a fare. Forse, è giunto il momento di dibattere anche di questi temi, smettendola di considerarli minori. Del disagio dei giovani serve parlarne, ma non con i numeri, con i volti, con le storie. Anche quando fanno male, esattamente come in Adorazione, anche quando sono un pugno allo stomaco che lascia senza fiato.
Il naufragio emotivo e un appello alla collettività
Quello dell’adorazione è un sentimento ipertrofico, un’ossessione che si nutre di vuoti invece che di pienezza e che in questa storia si traduce in un naufragio collettivo, un disastro emotivo di cui qualcuno dovrà farsi carico. Non si può continuare a ignorare il peso di generazioni cresciute senza strumenti per amare davvero, senza modelli di relazioni sane, senza luoghi in cui imparare a riconoscere e gestire i sentimenti. Serve uno sforzo collettivo e transgenerazionale per non lasciare che anche l’ultimo briciolo di bellezza venga travolto da una società sempre più materiale, dove tutto si consuma in fretta, anche le persone.