Condivisione è cura: Francesca Bubba e la rete di sostegno tra madri. Perché da sole non si va da nessuna parte

L’attivista per la maternità racconta il suo progetto di solidarietà e cooperazione, nato ascoltando i bisogni di chi la segue

di CLARA LATORRACA
25 marzo 2025
Condividere la maternità con altre donne aiuta sia sul piano pratico che psicologico

Condividere la maternità con altre donne aiuta sia sul piano pratico che psicologico

“In una società che ci vuole isolati, in competizione, pronti a misurare il nostro valore sulla base di ciò che possediamo, scegliere di condividere significa ribellarsi”. Francesca Bubba descrive così il suo progetto, “Condivisione è cura. Sostegno materiale e cooperazione tra genitori”, una piattaforma nata per permettere alle sue follower, per la maggior parte madri, di aiutarsi e fare rete. Bubba, attivista che lavora principalmente sul tema della maternità e autrice per Rizzoli del libro “Preparati a spingere”, ha creato - grazie all’aiuto di una follower, Chiara Marras - un sito che permette di pubblicare annunci di offerta o ricerca di beni materiali (passeggini, vestiti, giocattoli,…), ma anche di sostegno, ascolto e compagnia. Non solo: sulla pagina è inserita una sezione informativa relativa ai bonus legati alla maternità.

“La sinergia tra mamme e genitori non è un semplice sostegno sporadico: è la linfa di una comunità che cresce compatta, puntando a un benessere diffuso, che può esistere solo se condiviso”, si legge nel post di presentazione. Abbiamo parlato con Francesca Bubba di come sta andando il progetto, del valore della comunità che ha creato e del suo lavoro di attivismo nell’epoca e nello spazio dei social network. 

Come è nato il progetto "Condivisione è cura"? Qual è stata l’ispirazione dietro questa iniziativa?

"Il mio punto di riferimento resta sempre chi mi scrive, chi mi racconta le difficoltà della vita di tutti i giorni. Oggi più che mai, le persone vengono travolte dall'ostentazione del lusso sui social. Molte influencer che diventano madri riempiono le loro bacheche di immagini di culle costosissime, camerette da copertina, armadi straripanti di vestitini, eppure quel benessere - spesso ottenuto gratuitamente - non viene raccontato come un privilegio, ma come se fosse la norma. E così queste narrazioni fagocitano la realtà di chi lotta ogni giorno per coprire i bisogni essenziali, alimentando frustrazione, solitudine, senso di inadeguatezza e fallimento. Per questo ho deciso di usare lo stesso strumento, i social, ma per contrastare quel senso di isolamento che ci divora e per oppormi all’individualismo che sembra diventato sempre più la regola. Invece possiamo, e forse, a questo punto, dobbiamo riconoscerci negli occhi di un’altra madre che affronta le stesse battaglie e scoprire che, insieme, il peso si fa più leggero”.

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Cosa significa “Condivisione è cura”?

“Condividere è un atto profondamente politico. In una società che ci vuole isolati, in competizione, pronti a misurare il nostro valore sulla base di ciò che possediamo, scegliere di condividere significa ribellarsi. Il socialismo ci insegna che il benessere non è un traguardo individuale, ma un percorso collettivo: nessuno è davvero libero finché qualcun altro è oppresso. Condividere non è solo altruismo, è giustizia. È prendersi cura l’uno dell’altra, spezzare la narrazione della scarsità e riaffermare un principio fondamentale: siamo animali sociali, non siamo fatti per preoccuparci solo del nostro orticello. Non c’è beneficenza nel progetto, ognuno ha tanto da offrire quanto da chiedere. E il senso è proprio questo: ognuno di noi può essere agente e depositario di cura collettiva. L’alleanza tra mamme può rivelarsi uno strumento formidabile, capace di agire dal basso per arginare la tendenza delle istituzioni a spingerci verso l’individualismo. Spesso, lungo il percorso faticoso della maternità, la solidarietà di altre donne rappresenta non solo uno scambio di idee e rimedi pratici, ma anche un modo per recuperare un senso di appartenenza e comunità. Nel momento in cui due madri si sostengono, l’energia che ne deriva ha effetti ben oltre il loro rapporto personale: si riverbera sui figli, si diffonde come un’onda nel tessuto collettivo. In un contesto in cui domina la logica dell’“ognuno per sé”, l’unione tra mamme diventa un gesto di resistenza culturale e politica. Non si limita a un aiuto superficiale, ma si radica in legami profondi, costruiti sulla reciprocità di chi condivide esperienze, timori e speranze”.

Sei soddisfatta di come sta andando al momento il progetto? “Ha superato di gran lunga ogni mia aspettativa. Ogni giorno sul sito vengono caricati nuovi annunci, ci sono giorni in cui si sfiora il centinaio, e da quando ho lanciato il progetto non c’è stato un singolo giorno in cui io non abbia ricevuto messaggi di madri che si sono incontrate grazie alla lista”. Ci sono storie o testimonianze particolarmente significative che ti hanno colpito legate “Condivisione è cura”? “Non saprei scegliere, ce ne sono davvero tante. Mi colpisce ogni giorno il fatto che il buco assistenziale sul materno è davvero ciclopico, e vedere le madri impegnarsi per rendere il materno di qualcun’altra un po’ più facile mi commuove profondamente. Ci sono storie di madri che mi raccontano che mai avrebbero potuto permettersi quella culla comoda per il loro bambino, storie di madri che, sempre grazie al progetto, hanno stretto relazioni così intime da avere un pasto caldo pronto a settimana o una compagnia ed un passaggio in macchina per fare la spesa. Le foto delle madri che si incontrano (e me le mandano) le conservo tutte con ardore”.

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Come possono le persone contribuire o partecipare attivamente a "Condivisione è cura"? “Basta andare sul sito, selezionare la provincia di riferimento e scrivere cosa si può offrire! Le offerte vanno dai beni ai servizi, fino ad arrivare alla semplice compagnia, utilissima per ovviare all’isolamento sociale in cui, troppo spesso, le madri sono relegate. C’è anche la possibilità di caricare annunci online, quindi senza selezionare la provincia, se si è disposte a spedire beni (in quel caso le spese di spedizione sono sempre a mio carico) o se si tratta di un servizio fruibile a distanza”.

Come è iniziato il tuo percorso nell’attivismo e cosa ti ha spinto a dedicarti al tema della maternità?

“Non è stata una scelta, ma una necessità. La mia vita dopo essere diventata mamma è cambiata profondamente, ero e sono felice di essere madre, trovo sia la mia dimensione ideale oltre che un profondo desiderio realizzato, ma ci sono troppe manchevolezze, troppe distorsioni. Se il valore del materno fosse davvero riconosciuto, ogni madre avrebbe accesso ad una maternità più serena. Basterebbe un cambio di prospettiva: considerare il figlio non solo come una meraviglia personale, ma come un dono che lasciamo in eredità al mondo. È una creatura che ci appartiene intimamente, certo, ma che inevitabilmente si allontanerà da noi, seguendo il suo percorso. Quando rifletto sul futuro di mio figlio, non posso fare a meno di immaginare ciò che potrebbe diventare non solo per se stesso, ma anche per gli altri. Il valore sociale di tutto questo non è riconosciuto. Probabilmente perché il lavoro di cura non è retribuito, ma questa è un’altra storia (forse!)”. 

Per portare avanti il tuo lavoro di attivista e scrittrice e per dialogare con il tuo pubblico utilizzi principalmente il tuo profilo Instagram. Che idea hai del presente e del futuro dell’attivismo sui social network? “Il mio attivismo si è sempre articolato soprattutto fuori dai social, dove vedo sempre più l’espandersi di lotte identitarie e necessità di attribuirsi il titolo di paladini. Non mi riconosco in questo meccanismo, mi mette profondamente a disagio. Per fortuna esistono mosche bianche, l’attivismo social dalla pandemia in poi ha cambiato davvero le cose - in meglio - a una fetta considerevole di comunità. Io continuerò a farlo, per come posso, e sono felice di camminare a fianco a persone come Federica Di Martino (IVGstobenissimo su Instagram) che grazie al suo lavoro sui social ha quasi letteralmente (e lo dico con cognizione) salvato delle vite. L’esistenza di figure come la sua è una benedizione collettiva”. I temi che porti avanti sono di fondamentale importanza e proprio per questo sono molto discussi. Quali sono le principali sfide che affronti nel tuo lavoro?

“Direi che le sfide sono diverse, e spaziano dalle barriere culturali alle resistenze istituzionali. Posso fare un elenco ben preciso. Il primo punto riguarda l’invisibilità del tema: la maternità è considerata una questione "privata", anziché un tema politico e sociale. Questo rende difficile far emergere la necessità di tutele concrete e di un cambiamento sistemico, così come la mancanza di politiche di sostegno: le leggi sul congedo di maternità, il supporto alla genitorialità e i servizi per l’infanzia sono spesso inadeguati o inesistenti. Poi parlerei delle pressioni del capitalismo e del neoliberismo: il modello economico dominante vede la maternità come un ostacolo alla produttività. Le donne vengono spinte a "tornare in forma", a rientrare subito nel mercato del lavoro, a dimostrare di essere "efficienti" (dove l’efficienza si traduce rigorosamente in produttività economica) anche mentre crescono un figlio. Combattere questa mentalità è una sfida enorme".

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Altro punto fondamentale è da dedicare al doppio standard di genere: mentre la paternità è spesso celebrata o vista come un optional, la maternità è ancora considerata un dovere femminile. Le madri vengono giudicate qualunque scelta facciano: se lavorano, se restano a casa, se hanno più figli, se ne hanno pochi. Le madri, come ho già detto, vengono spesso lasciate sole ad affrontare la fatica fisica, mentale ed economica della genitorialità. Il mio dovere da attivista è soprattutto contrastare l’isolamento e ricostruire una solidarietà di classe e di genere, impresa davvero difficile. Infine, uno dei punti più ostici è da dedicare alla violenza ostetrica: molte, troppe donne subiscono trattamenti non consensuali o poco rispettosi durante la gravidanza e il parto. Far riconoscere la violenza ostetrica come una questione di diritti umani è una battaglia ancora aperta”. 

Perché rimane così importante, in questo contesto, continuare a lottare?

"Portare avanti queste battaglie è estenuante, soprattutto perché molte attiviste sono esse stesse madri. Il rischio di burnout è alto, ed è fondamentale costruire movimenti collettivi per distribuire il peso della lotta. La maternità è una questione politica. Lottare per i diritti delle madri significa lottare per una società più equa, più giusta e più solidale”. Da sole, insomma, non si va da nessuna parte. Ma nemmeno ci voglio andare io, da sola, da qualche parte.

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