Omicidio di Viareggio, il sociologo Scalia: “Siamo ormai così immersi nel virtuale da perdere il senso delle proporzioni”

Il sociologo dell’Università di Firenze mette in guardia dal rischio della giustizia fai da te: “Se non vogliamo tornare alla legge della giungla, dobbiamo ricostruire il tessuto sociale e ridurre la frammentazione sociale che oggi ci porta a reagire in modo eccessivo e irrazionale”.

di ELETTRA GULLÈ -
10 settembre 2024
Vincenzo Scalia

Vincenzo Scalia, sociologo dell’Università di Firenze

Una stimata imprenditrice che, di fronte ad uno scippo, si trasforma in un’assassina. E il popolo del web che, in larga parte, la osanna. Quel che è accaduto a Viareggio scuote le coscienze e apre tantissimi interrogativi inquietanti. Secondo Vincenzo Scalia, sociologo dell’Università di Firenze, siamo di fronte ad una sorta di “riedizione a livello virtuale dei linciaggi collettivi che fino a 70 anni fa avvenivano negli Stati Uniti”.

Insomma, la rabbia collettiva social si può paragonare ai rituali violenti del passato.

“Esattamente. La rabbia esplosa sui social media in seguito al terribile fatto di cronaca riflette dinamiche simili a quelle dei linciaggi avvenuti negli Stati Uniti, in particolare contro gli afroamericani e, in alcuni casi, anche contro italiani, considerati “non condannati a sufficienza”. Così come un tempo la folla si riuniva per infliggere punizioni brutali, oggi l'odio e il desiderio di vendetta si riversano sui social network. All’epoca dei linciaggi si scattavano foto da mandare ai parenti come se fossero cartoline. Oggi, lo stesso impulso si manifesta nella viralità delle immagini e dei commenti sui social”.

C’è il desiderio di creare un capro espiatorio?

“Anche. Pensiamo al sociologo Zygmunt Bauman, uno dei più influenti pensatori della modernità liquida, che descrive la nostra società come frammentata e incapace di creare comunità coese. In un simile contesto, per ritrovare un senso di appartenenza, si cerca proprio un capro espiatorio. Può essere un ladro, un rom, un migrante. Ecco, la comunità virtuale si unisce contro un nemico comune. E il fenomeno è amplificato dalla sensazione di impunità che si prova dietro la tastiera, con la convinzione di essere dalla parte giusta, di esserci, di godere dei benefici di popolarità offerti dai social”.

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Ma cosa può essere scattato nella mente della nota imprenditrice?

“Qui vedo la svalutazione della vita umana e l’esaltazione della proprietà privata. La società moderna enfatizza sempre più la sacralità dello spazio personale e degli oggetti personali. Oggi, un cellulare o una borsa diventano un’estensione della nostra identità e perderli equivale a subire un'invasione intollerabile. La sensazione di vulnerabilità si amplifica in un contesto sociale dove il corpo e gli oggetti che possediamo vengono costantemente messi in primo piano. Ma davvero la vita umana vale meno di uno smartphone, per quanto sia fondamentale per noi in termini di contatti e di accessi al nostro conto bancario e non solo?”.

Stiamo perdendo il senso del reale?

“I social media, con la loro enfasi sulla visibilità e sull'apparire, stanno distorcendo il nostro rapporto con la realtà. Siamo ormai così immersi nel virtuale da perdere il senso delle proporzioni. L’immagine di quella donna che investe il ladro pare tratta da un film. Invece è la cruda realtà”.

C’è il rischio di una giustizia fai da te?

“E’ questo uno degli aspetti più preoccupanti della vicenda, che estremizza i segnali di esasperazione da parte del cittadino comune. Ma la giustizia fai da te è pericolosissima. Non è mai la soluzione. Rischia di portarci davvero alla deriva. Se non vogliamo tornare alla legge della giungla, dobbiamo ricostruire il tessuto sociale e ridurre la frammentazione che oggi ci porta a reagire in modo eccessivo e irrazionale”.