
I partecipanti al Pink Dot a Singapore, un evento annuale organizzato a sostegno della comunità LGBT
Negli ultimi anni, l’Asia ha visto progressi significativi nel riconoscimento dei diritti LGBTQ+. Dopo Taiwan, che nel 2019 è diventato il primo Paese asiatico a legalizzare il matrimonio tra persone dello stesso sesso, anche la Thailandia ha recentemente approvato una legge che permette alle coppie LGBTQ+ di sposarsi, segnando una svolta storica nella regione. E ora, anche Singapore sembra disposta a compiere un passo importante: il governo ha avviato un dibattito sul riconoscimento del matrimonio egualitario, aprendo la strada a un possibile cambiamento legislativo.
Cambi di rotta a Singapore
Per anni, Singapore ha mantenuto un approccio conservatore sui diritti LGBTQ+, vietando i matrimoni tra persone dello stesso sesso e mantenendo attive leggi contro le relazioni omosessuali fino al 2022. Nello Stato asiatico era infatti in vigore, fino a poco meno di 3 anni fa, la Sezione 377A del Codice Penale, una legge di epoca coloniale britannica che criminalizzava le relazioni sessuali tra uomini, punendole con pene detentive fino a due anni. Sebbene negli ultimi decenni questa norma fosse raramente applicata, la sua esistenza contribuiva a stigmatizzare la comunità LGBTQ+ e a legittimare discriminazioni sistemiche.
Dopo anni di battaglie da parte degli attivisti, il governo di Singapore ha finalmente abrogato la norma nel novembre 2022, eliminando così un importante ostacolo ai diritti delle persone LGBTQ+. Tuttavia, l’abolizione della legge è stata accompagnata da una modifica costituzionale che impedisce esplicitamente la legalizzazione del matrimonio egualitario senza un voto parlamentare, mantenendo quindi forti limitazioni alla piena uguaglianza. Tuttavia, la crescente pressione dell’opinione pubblica (secondo un sondaggio del 2024 condotto da Ipsos, più della metà della popolazione singaporiana sostiene il riconoscimento legale delle coppie dello stesso sesso) e l’influenza dei cambiamenti in altri Paesi asiatici hanno portato le autorità a riconsiderare la loro posizione.
La cauta apertura arriva dal Primo Ministro Lawrence Wong, che durante un incontro all’University Cultural Centre, ha detto, riguardo alla posizione del governo sul tema: "La posizione del governo è di lasciare che le cose seguano il loro corso naturale". Wong ha anche aggiunto che la priorità del governo è evitare che queste questioni dividano ulteriormente la società di Singapore, ma si è detto disposto alla discussione: "Sediamoci e parliamone, continuiamo a confrontarci e facciamolo in modo naturale."
Sebbene il percorso sia ancora incerto, la discussione avviata rappresenta un segnale positivo per la comunità LGBTQ+ locale, che da tempo chiede pari diritti e riconoscimento legale delle proprie famiglie. Inoltre, se Singapore dovesse avviare il processo di legalizzazione del matrimonio egualitario, le conseguenze di questa scelta potrebbero superare i confini nazionali. Essendo la città-stato un centro nevralgico per la finanza e la logistica nel Sud-est asiatico, oltre a un partner strategico per le principali potenze mondiali, Cina in primis, il suo eventuale riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso potrebbe avere un impatto significativo a livello internazionale.
E in Italia? Il matrimonio egualitario resta un tabù
Mentre in Asia si compiono passi avanti, in Italia la situazione appare stagnante. Il nostro Paese ha introdotto le unioni civili nel 2016, ma il matrimonio tra persone dello stesso sesso resta ancora vietato. Le unioni civili, introdotte con la legge n. 76 del 2016 (nota come Legge Cirinnà), non sono infatti equiparabili al matrimonio. Sebbene garantiscano diritti fondamentali come l’eredità, la reversibilità della pensione e l’assistenza ospedaliera, presentano alcune differenze sostanziali rispetto al matrimonio: non prevedono l’obbligo di fedeltà e non consentono l’adozione congiunta, limitando il diritto alla genitorialità per le coppie omosessuali. Inoltre, il matrimonio ha un valore simbolico e sociale più ampio, riconosciuto a livello internazionale, mentre le unioni civili restano una forma di tutela limitata che non garantisce una piena parità.