Se pensi che il kit di sopravvivenza europeo sia solo un consiglio utile, forse dovresti preoccuparti

Mentre l’Unione Europea invita i cittadini a prepararsi alle crisi, cresce il senso di impotenza tra i cittadini, già segnati da un futuro incerto. La risposta alle emergenze è davvero nella preparazione personale?

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI
27 marzo 2025
Profughi ucraini che fuggono dalle truppe russe a Mariupol, nel Donbass, nel 2022

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In un contesto globale sempre più segnato dall'incertezza e dalla paura, il concetto di resilienza sta emergendo come una delle risposte più diffuse, ma allo stesso tempo più individualistiche, alle crisi incombenti. Il recente intervento di Hadja Lahbib, commissaria europea per la Gestione delle crisi, che ha presentato il suo “kit di sopravvivenza” – una borsa contenente oggetti essenziali come acqua, medicinali, occhiali da vista e torcia – non è solo un gesto pratico, ma anche un segnale inquietante di come le istituzioni europee stiano indirizzando i cittadini verso una preparazione personale alle emergenze, piuttosto che promuovere un'azione collettiva. L’idea di essere pronti a far fronte a qualsiasi tipo di crisi, che vada dalla guerra ai disastri naturali, suggerisce un futuro di continuo pericolo, dove la preparazione individuale diventa l’unica risposta.

BELGIUM EU FOREIGN AFFAIRS COUNCIL
La commissaria Ue per l'uguaglianza e la gestione delle crisi, Hadja Lahbib

Se da un lato la proposta di avere una “borsa della resilienza” appare come un suggerimento utile per garantire l'autosufficienza in caso di emergenza, dall'altro non può fare a meno di sollevare interrogativi più profondi sul suo significato sociale e psicologico. La presentazione di un kit di sopravvivenza da parte di una figura istituzionale come Lahbib, con un sorriso e un tono quasi disinvolto, rischia di minimizzare la gravità di una società che vive ormai nell'ansia costante di conflitti e catastrofi.

Se girano almeno cento varianti di questo meme c'è un motivo
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Sebbene l'intento possa essere quello di rassicurare, il messaggio che rischia di passare è quello di un mondo in cui ognuno è chiamato a difendersi e a sopravvivere da solo. Questo approccio non fa altro che accentuare la sensazione di vulnerabilità, solitudine e impotenza che attraversa particolarmente le giovani generazioni.

In un'epoca in cui le sfide per il futuro sono più che mai incertezze collettive – guerre, crisi economiche, cambiamenti climatici, e disastri naturali – l'idea di rispondere con una preparazione individuale potrebbe risultare disarmante. I giovani, che già oggi vivono con il peso di un futuro incerto, rischiano di vedere in queste iniziative non una risposta concreta ai loro bisogni, ma una conferma della disconnessione delle istituzioni dalle loro reali difficoltà. Se le politiche europee puntano a formare cittadini pronti ad affrontare emergenze in autonomia, non si sta forse minando il concetto stesso di solidarietà e cooperazione, elementi essenziali per superare le crisi sociali e politiche che attraversiamo?

La preparazione individuale proposta dal kit di sopravvivenza sembra dunque un palliativo, una risposta a breve termine a problemi che richiederebbero soluzioni collettive e strutturali. I cittadini non hanno bisogno di essere semplicemente preparati a sopravvivere, ma di essere inclusi in un progetto di speranza, di cambiamento e di costruzione di un futuro più equo. L'approccio della “resilienza individuale” rischia di esacerbare la sensazione di paura e impotenza, facendo crescere il panico, soprattutto tra chi si sente escluso dalle risposte politiche.

Ciò che manca in questo discorso, infatti, è l’invito a una resilienza collettiva, a un'azione comune che possa affrontare i problemi non con il singolo che si prepara, ma con la comunità che si unisce per risolvere le sfide comuni. Se davvero vogliamo preparare le generazioni future, dovremmo riflettere su cosa significa essere “resilienti” in un mondo che ha bisogno più che mai di un’Europa coesa e solidale, capace di dare risposte concrete e di costruire ponti tra le persone, non solo tra le singole borse di sopravvivenza.