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Torino, stupratore assolto perché la vittima "l'ha invitato a osare". Donne: abbiate paura!

Nel 2019 un uomo avrebbe violentato una ragazza nel bagno di un locale perché lei, ubriaca, aveva lascianto la porta socchiusa

di MARIANNA GRAZI -
9 luglio 2022
No allo stupro

No allo stupro

Era ubriaca e con la porta semi aperta. Quindi non si tratta di stupro, ma di "invito a osare". La Corte d’Appello di Torino, giovedì 7 luglio, ha assolto un ragazzo condannato in primo grado per violenza sessuale perché secondo i giudici, la ragazza, lasciando la porta del bagno socchiusa, lo aveva "invitato a osare". Vittima colpevole, perché era “sbronza e quindi non pienamente in sé”. C'è da aggiungere altro? La decisione è una di quelle che seccano le parole in gola, che lasciano talmente scioccat* che serve fermarsi, contare fino a 10 e poi esprimersi, canalizzando la rabbia e l'incredulità provocate in un ragionamento che vada al di là del mero sfogo. Perché dimostra quanto ancora nel nostro Paese ci sia bisogno di lavorare, di discutere e quindi agire a contrasto della violenza di genere, su quanto arretrata sia la cultura italiana sul tema, tanto da considerare la vittima di stupro la vera responsabile e non l'uomo che l'ha violentata, che sarebbe invece stato tentato e non avrebbe resistito ai suoi istinti 'di maschio'.

In Italia spesso le vittime di violenza vengono colpevolizzate per aver provocato l'aggressore

I fatti

Partiamo dai fatti, intanto. Siamo nel 2019, a Torino: una ragazza incontra un conoscente, con il quale in precedenza si era scambiata qualche bacio, e con lui si intrattiene in un locale di via Garibaldi. Vuole spiegargli che per lei finisce lì, non vuole andare oltre o iniziare una storia. La donna deve andare in bagno e si fa accompagnare dal ragazzo, che conosce bene il posto perché ci ha lavorato. Lascia inavvertitamente la porta socchiusa. Lui entra e la stupra. Scatta la denuncia, in primo grado l'uomo viene condannato. Ricorre in appello e qui viene assolto.

La sentenza della Corte d'Appello

Secondo i giudici: "L'unico dato indicativo del presunto abuso potrebbe essere considerato la cerniera dei pantaloni rotta, ma l'uomo non ha negato di aver aperto i pantaloni della giovane, ragione per cui nulla può escludere che sull'esaltazione del momento la cerniera, di modesta qualità, si sia deteriorata sotto forzatura". L'esaltazione del momento e lo stato psicofisico della ragazza "alterata per un uso smodato di alcol (...)" avrebbero provocato "l'avvicinamento del giovane che la stava attendendo dietro la porta", riporta l'agenzia di stampa ANSA citando la sentenza. Un chiaro invito ad 'osare', da quanto viene riportato. La sentenza del tribunale torinese è stata impugnata in Cassazione dal sostituto procuratore generale Nicoletta Quaglino. Ma, al di là del procedimento giudiziario che proseguirà quindi nell'iter processuale, ha già scatenato l'indignazione, la rabbia, il disgusto perfino di gran parte dell'opinione pubblica. E come darle torto?
proteste stupro

"Sì vuol dire Sì, no vuol dire no"

La cultura dello stupro

Il caso è solo la punta dell'iceberg in mare magnum di vicende simili, che considerano la vittima di uno stupro consenziente perché "indossava jeans attillati", "aveva un vestito troppo corto", "aveva un trucco/una scollatura/lo sguardo provocante", oltre a gridare ingiustizia, di vittimizzazione secondaria, di colpevolizzazione della stuprata, della donna uccisa, nella peggiore delle ipotesi. È colpa sua. È colpa nostra. Di tutte noi che crediamo di essere libere e non lo siamo, che crediamo di poter uscire di notte e non possiamo, di vestirci come ci pare e non ci è concesso. Di amare e godere del sesso consensuale, anche occasionale, ma non ci è permesso. Perché? Perché altrimenti, se veniamo stuprate, ce la siamo cercata. Il pregiudizio, la cultura maschilista e paternalista vincono sul giudizio obiettivo dei fatti. Ancora. La sentenza di Torino è pericolosissima perché impaurisce le donne, già preoccupate di essere colpevolizzate per la violenza subita. Così facendo si spingono le vittime a chiedersi: "È stata colpa mia?", mentre per tutte coloro che non hanno mai provato sulla loro pelle un abuso scatta il terrore preventivo: "La prossima sarò io? Succederà anche a me? Mi sono vestita troppo provocante o avrò fatto qualcosa che ha indotto un uomo a pensare che potrei starci?". Domande chiave che denunciano la presenza ben radicata in Italia della cosiddetta "cultura dello stupro". Che criminalizza le donne per come si vestono e come si comportano, giustificando atti di violenza, di abuso, contro di loro come 'indotti', 'provocati' per qualcosa che hanno fatto o detto (o non detto). Allora che senso ha denunciare? Quando si parla di cultura dello stupro, si parla anche di questo: della mentalità di chi ancora avvalla l’idea che la donna se la sia cercata. Perché non ha chiuso la porta a chiave, invitando quindi l'uomo fuori a "osare". Perché l'uomo, in quanto tale, sarebbe una specie di bestia che non sa resistere agli istinti 'della carne', non sa resistere all'impulso di accoppiarsi senza una chiara negazione di consenso dall'altra parte (ma anche quando questa c'è ma lui se ne frega!).