Un anno fa moriva Mahsa Amini. Oggi la repressione continua ma la resistenza non si ferma

Nel giorno dell'anniversario della morte di Mahsa Amini, uccisa per "una ciocca di capelli", sono riscoppiate le proteste in Iran per sfidare il divieto di ricordarla

di CATERINA CECCUTI -
16 settembre 2023
Un anno fa moriva Mahsa Amini

Un anno fa moriva Mahsa Amini

Era il 16 settembre del 2022 quando Mahsa Amini, giovane iraniana di origine curda, moriva in ospedale a causa di un'emorragia cerebrale, a pochi giorni dal suo ventitreesimo compleanno. Tre giorni prima, il 13 settembre, la ragazza era stata arrestata a Teheran per aver indossato male l'hijab (troppo lento rispetto al dovuto) e alcuni testimoni hanno dichiarato che per questo sarebbe stata picchiata dalla polizia morale e avrebbe battuto la testa in seguito alle percosse subite. Di lì ad appena tre giorni la conseguente emorragia cerebrale l'avrebbe condotta alla morte. Da quel momento Mahsa Amini è diventata il simbolo delle lotte a favore dei diritti delle donne in Iran.
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Una donna iraniana tiene in mano un ciuffo di capelli durante una protesta davanti al Consolato iraniano in seguito alla morte di Mahsa Amini, a Istanbul, il 26 settembre

Le proteste in tutto il mondo nel nome di Mahsa Amini

Per mesi la sua morte ha scatenato ampie proteste in tutto il Paese e non solo. Attraverso i social network, anche le iraniane residenti fuori dal confine si sono mobilitate a favore della causa. Ricorderete, sulle pagine di Luce! l'accorato appello di Pegah Moshir Pour - 33enne lucana di origine persiana -, che chiedeva all'Occidente di non lasciar cadere nel vuoto e nel silenzio il grido di aiuto delle donne iraniane: “La polizia morale entra nelle scuole elementari, medie e superiori, sia femminili che maschili, senza alcuna distinzione. Si mette ad interrogare gli studenti per capire cosa pensino e cosa provino rispetto al regime. Se mostrano segni di disobbedienza vengono picchiati brutalmente. Alcuni di loro, soprattutto le ragazze, a seguito delle percosse sono morte per emorragia interna. È una situazione gravissima in merito alla quale non è più possibile tacere. In alcune scuole superiori femminili in cui le ragazze si rifiutavano di portare il velo, è capitato che la polizia abbia tentato di ucciderle avvelenando il cibo della mensa o rilasciando gas tossici nelle aule. Stiamo assistendo ad una vera e propria violazione dei diritti umani”.

Un anno dopo nulla è cambiato

Oggi, ad un anno dalla morte di Mahsa, sono previste proteste e manifestazioni pubbliche in tutto il Paese, con scioperi in 13 città del Kurdistan. Amjad Amini, padre di Mahsa, è stato arrestato mentre lasciava la propria abitazione in via Mamosta Hajjar, nel quartiere universitario di Saqqez.
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Il padre di Mahsa Amini accanto alla tomba della figlia (Ansa)

A renderlo noto sono la ong Hengaw e vari account di dissidenti iraniani attivi sui social. Già nei giorni scorsi, con l’avvicinarsi dell’anniversario della morte della figlia, l’uomo era stato messo sotto sorveglianza.

Arrestato e poi rilasciato il padre

Le forze di sicurezza iraniane - ha dichiarato la rete Kurdistan Human Rights - lo hanno trattenuto brevemente e rilasciato dopo avergli intimato di non celebrare l’anniversario della morte di Mahsa. Già nelle ultime settimane Amjad Amini, che era stato trasferito in una località sconosciuta, era stato convocato almeno quattro volte da varie agenzie di sicurezza per evitare che organizzasse cerimonie in ricordo della figlia. "Non pubblicare sui social, non organizzare celebrazioni per la morte", gli avevano intimato. Il giovane zio di Mahsa Amini, Safa Aeli fratello della madre, era stato arrestato martedì 12 settembre durante un raid delle forze di intelligence a Saqqez ed è tuttora detenuto.
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Le proteste in Iran dopo la morte della giovane sono ripartite oggi nel giorno dell'anniversario

La città di Saqqez, soprattutto intorno alla residenza della famiglia Amini e alle strade che portano al cimitero di Aichi dove si trova sepolta la ragazza, è stata pesantemente militarizzata, con forze di sicurezza e uomini armati che stazionano in diversi punti. Sette giorni fa il padre della ragazza aveva pubblicato un post su Instagram: "Care sorelle e fratelli, noi, la famiglia di Gina Mahsa, come ogni famiglia in lutto, nell’anniversario del martirio della nostra amata figlia, ci riuniremo sulla tomba e avremo una cerimonia tradizionale e religiosa. Celebriamo l’anniversario. Allo stesso tempo onoreremo i dolori e le preoccupazioni dei nostri cari concittadini. Astenetevi da qualsiasi cosa, atti violenti. Vi invitiamo a rispondere. Non pubblichiamo nessun testo tranne questo. La Madre e il padre di Mahsa".

La forte repressione

Pare che da settimane gli ayatollah siano entrati nelle case delle famiglie delle ragazze e dei ragazzi uccisi durante le manifestazioni degli ultimi mesi per prelevarne i familiari. Attivisti, artisti, parenti di ogni grado sono stati arrestati. L'intento è stato quello di stroncare sul nascere l'iniziativa di chi potrebbe fomentare il popolo, riportando nuovamente la protesta nelle strade. Ma nonostante la repressione, per tutta la notte dai balconi e dai tetti delle case iraniane si sono alzati cori contro il dittatore: "Morte a Khamenei". Se la polizia morale non molla, insomma, non lo fa però neanche il popolo iraniano.
 
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L'appello: "Non smettiamo di parlarne"

“Chiediamo alle persone di diffondere i contenuti sulla situazione iraniana – è l'appello lanciato a più riprese da Pegah, sui giornali e sui social network -, di non smettere neanche un giorno di parlarne, perché nel momento in cui dovesse accadere il Regime potrebbe aggravare la propria azione contro il suo stesso popolo. Vi prego di non smettere di chiedere notizie sulla condizione dei prigionieri, dei giornalisti arrestati, degli intellettuali e dei giovanissimi che vengono fatti sparire nel nulla. Aiutateci ad ottenere risposte, condividete più possibile i contenuti di denuncia sull’Iran perché è veramente di vitale importanza. Dobbiamo avviare un vero e proprio movimento social, capace di raccontare la verità su una rivoluzione che, ovviamente, non riguarda il diritto di togliersi un velo dalla testa, ma di far cadere il regime e poter scegliere il proprio Governo ed il proprio futuro. Vogliamo la libertà e la democrazia. Vogliamo essere la voce degli iraniani ed insistere che i governi internazionali riconoscano il regime della Repubblica islamica come un governo illegittimo e quindi aiutino il popolo ad uscire da questo buio, dal velo che è stato messo sull’informazione, sulla scuola, sull’università. Sulla vita. Vogliamo riacquistare il nostro diritto alla libertà”.