Uno “spettacolo ridicolo” per imporre l'hijab “nel quadro di una legge medievale”: così la nota attivista e avvocato iraniana Nasrin Sotoudeh e la scrittrice dissidente Sedigheh Vasmaghi bollano la nuova legge annunciata a Teheran, facendo appello alle proteste. La legge sull'hijab, denominata “legge a sostegno della famiglia attraverso la promozione della cultura dell'hijab e della castità”, è stata ufficialmente pubblicata e dal 13 dicembre inizierà l'iter per l'attuazione.
Gli articoli della normativa hanno sollevato una miriade di critiche da parte di avvocati, attivisti, riformisti a causa delle multe molto pesanti e restrizioni, a cominciare dalle sanzioni per le donne che si recano nei luoghi pubblici senza velo. "Oltre due anni dopo la rivolta del 2022, il governo ha organizzato uno spettacolo ridicolo per imporre l'obbligatorietà dell'hijab nel quadro di una legge medievale, che viola i diritti civili delle donne”, hanno scritto Sotoudeh e Vasmaghi, entrambi rilasciate dal carcere. “La maggioranza della società ha messo in pericolo la propria vita contro l'obbligo dell'hijab: chiediamo di abrogare immediatamente la legge, altrimenti un gran numero di persone protesteranno contro questa mossa vergognosa”. Sotoudeh, premio Sacharov nel 2012, è in libertà su cauzione dopo l'arresto un anno fa durante il funerale di Armita Garavand, la sedicenne morta a seguito dell'aggressione nella metropolitana di Teheran, mentre Vasmaghi - in carcere per propaganda antiregime - è stata rilasciata per ragioni di salute lo scorso aprile.
La nuova legge, secondo le intenzioni del governo, verrà applicata in via sperimentale per tre anni. Le donne che non indosseranno l'hijab islamico completo in pubblico saranno identificate anche grazie a telecamere a circuito chiuso fornite alla polizia dai ministeri dell'intelligence e della difesa. I complessi residenziali e commerciali saranno obbligati a consegnare alla polizia le riprese delle loro telecamere. Le norme prevedono multe fino a circa 10.000 dollari a seconda del livello del "reato” e impone anche altre restrizioni sui servizi sociali, viaggi all'estero e attività sui social media, oltre alla reclusione.