Pegah Moshir Pour: “Un’opposizione in Iran è possibile se accettata dall’Occidente”

L’attivista è in edicola con il suo libro “La notte sopra Teheran”. Una storia personale che, pagina dopo pagina, vuole diventare di tutti

di TERESA SCARCELLA
23 novembre 2024
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Pegah Moshir Pour, scrittrice e attivista per i diritti delle donne iraniane

Quando l’abbiamo chiamata stava leggendo le ultime notizie dall’Iran. Il rapporto con la sua terra d’origine non si è interrotto con la distanza geografica, al contrario si è fatto più intenso, a tratti anche doloroso. Un amore/odio che viene fuori fin dalle prime pagine del suo libro, “La notte sopra Teheran”, che presenterà oggi a Pistoia, nella libreria Lo Spazio, all’interno del festival Pari e Dispari. La scrittura di Pegah Moshir Pour, attivista e portavoce dei diritti delle donne dell’Iran, è dolce e potente allo stesso tempo, come la sua voce.

Il libro nasce dalla sua storia personale. Per chi legge è una porta nella sua sfera più privata. Per lei è stato un salto nel passato..

“Nel libro c’è una Pegah in Iran e una Pegah in Italia. Da bambina non accettavo il trasferimento, per me l’Iran era il posto più bello del mondo. Non capivo quello cui andavo incontro. Poi nel ’99, a nove anni, sono venuta in Italia e qui mi sono scontrata con i pregiudizi culturali e gli stereotipi. Il libro è un rapporto epistolare, che poi con il tempo diventa digitale, con mia cugina. Un personaggio di fantasia che ho voluto chiamare Setareh, perché significa ’stella’, invece Pegah vuol dire ’aurora’, volevo dare il senso del buio e della luce: il buio di chi in Iran vuole oscurare tutto e le luci di combatte”.

Che bambina era ?

“Ero molto introversa. Avevo anche una visione della vita molto limitata. Oggi le bambine hanno più consapevolezza di quella che avevo io. Le vedo in video, togliersi il velo in nome di ’Donna, vita, libertà’ e penso che ho molto da imparare dalle nuove generazioni. Quindi sono contenta di essere uscita dal Paese, ma ho anche un senso di colpa, nel vedere quello che loro devono subire ogni giorno. Per nulla, poi, alla fine, perché ovviamente il velo è una scusa per reprimere la popolazione. Quando invece le questioni in Iran sono molto più gravi, sono molto più grandi, da quella economica a quella geopolitica, ma anche la politica interna che è molto traballante. Cose che ovviamente non danno a vedere. E questo mi responsabilizza nel riportare le loro voci, le loro storie. La popolazione sta dicendo all’Occidente: ’non sedetevi a negoziare con questi criminali’”.

L’Occidente cosa fa? O cosa non fa?

“È molto complesso. Adesso con il ritorno di Trump, bisogna capire come andranno le cose. C’è da dire che l’Iran ha come primi alleati la Cina e la Russia, quindi è un regime che ha in questi anni intrecciato rapporti molto forti. Internamente c’è un inasprimento verso la Guida suprema, ma sappiamo anche che i Guardiani della rivoluzione islamica, che sono il braccio più forte, hanno tanto potere economico, finanziario, politico, ma anche politico internazionale. Da più di due anni stiamo dicendo all’Unione Europea di mettere nella lista dei terroristi tutto il corpo dei Guardiani della Rivoluzione, quindi limitare le loro azioni, i loro spostamenti, congelare soprattutto i loro conti. Però il Consiglio d’Europa non si è ancora espresso. Quindi ci sono delle cose che non tornano, si fa finta o si cerca di negoziare, perché immagino che sia anche importante non solo il ruolo dell’Iran, ma proprio le sue ricchezze interne, cioè il gas, il petrolio che in questo momento fanno gola a tanti Paesi. Noi cerchiamo di mantenere alta l’attenzione, affinché si comprenda che l’opposizione in Iran può esserci se accettata dai governi occidentali”.

Il nuovo presidente ha lasciato intendere che avrebbe allentato la stretta della polizia morale sulle donne. Non è così?

“La sua politica non vale, come le decisioni del Parlamento. Tutto è in mano alla Guida Suprema. Infatti si è intensificato il controllo nelle università, nei luoghi pubblici, Ahoo Daryaei è una delle tante conseguenze”.

Quando ha deciso di voler intraprendere la strada dell’attivismo?

"A 15 anni, dopo una gita scolastica che mi è stata negata perché non avevo la cittadinanza. Lì ho capito che il mondo che fino a quel momento conoscevo, era solo nella mia testa, lo avevo idealizzato. Ho iniziato a farmi delle domande, a informarmi. L’ho avuta nel 2012, quando ero al terzo anno di università, dopo un tempo infinito che ha condizionato per forza di cosa le mie scelte. E’ una legge vecchia, che non rispecchia più la società di oggi. L’Italia è un Paese sempre più multiculturale ed è una ricchezza. Io stessa sono da poco diventata mamma di un bambino italo-iraniano. Il non essere inclusi porta a uno sviluppo insano della società».

Cosa ne pensa della proposta dela Lega in Toscana, di vietare l’hijab a scuola?

“Imporlo o vietarlo hanno la stessa matrice dittatoriale. Deve essere una scelta. Sono rivoluzioni culturali che hanno bisogno di tempo per essere accolte, per essere normalizzate. Forzarle, inasprisce l’integrazione. Quindi, invece di decidere per gli altri, sarebbe il caso di finanziare e sostenere in maniera strutturale programmi di accoglienza e dell’ascolto”.

E’ diventata mamma da poco. In Italia il dibattito sulla maternità e sull’assenza di tutele è molto caldo, cosa ne pensa? 

"Già dalla gravidanza io mi sono resa conto che l’Italia non è un Paese costruito su misura per le donne incinta, ma banalmente quello che può essere il salire le scale di una stazione o trovare un ascensore, magari in un palazzo. Ecco proprio l’accessibilità delle città è carente. Poi non ci sono politiche che in maniera strutturale, in maniera seria, aiutino le donne. È importante non lasciare la madre da sola, nei primi mesi, perché arrivare a una depressione è assolutamente naturale. E poi, ovviamente c’è il costo da sostenere. Non tutti i medicinali, non tutte le visite passano per il servizio nazionale e non sempre con i tempi giusti. Quindi se una donna decide di rimandare o di rinunciare alla maternità, non è sempre solo per la carriera, ma anche perché banalmente si fa i conti in tasca”.