La questione è delicata, anzi delicatissima e da qualsiasi punto di vista la si affronti si rischia non tanto di rompere il guscio di un uovo, ma di spezzare – o quanto meno incrinare – il cuore di una donna.
L’interruzione di una gravidanza, infatti, non riguarda soltanto l’aspetto fisico ma anche quello emotivo di colei che si trova a portare avanti la gestazione di un figlio non cercato, e come tale deve prima di tutto non essere giudicata (da nessuno), né strumentalizzata (politicamente). Cosa non semplice se, come è accaduto negli ultimi tempi, sui giornali se ne torna a parlare parecchio – quasi mai peraltro andando ad interpellare le dirette interessate –, tanto che la polemica tra i pro vita a tutti i costi e quanti invece ritengono l’aborto un diritto imprescindibile di ciascuna donna, si riaccende infiammando vecchie e nuove questioni.
Il perché va ricercato nella decisione da parte della Regione Piemonte di rinnovare il fondo destinato al progetto Vita nascente – anzi di raddoppiarlo, fino a raggiungere la cifra del milione di euro tondi tondi –, rivolto alle donne incinte e alle neo mamme in difficoltà economico-sociali. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta, andando a spulciare sul sito della Regione.
Il progetto Vita Nascente
Si parla di “progetti per accompagnare le donne e i loro bambini nei primi mille giorni di vita (…) sostenendo concretamente le donne in difficoltà che stanno per diventare mamme o lo sono appena diventate”. Con Vita nascente, si legge più sotto, le donne potranno ricevere ascolto, consulenza, supporto, sostegno economico e beni di prima necessità, prendendo contatto con la propria Asl di riferimento territoriale.
A seconda delle proprie esigenze, alla mamma vengono offerti diversi tipi di assistenza: “Ascolto e consulenza, attraverso la presenza a sportello programmato presso i presidi sanitari; supporto alle donne in attesa per accompagnarle in una scelta consapevole; sostegno economico (compresi contributi per le spese di locazione e per il pagamento utenze) e gli aiuti materiali/fornitura beni di prima necessità (abbigliamento, alimenti, farmaci, pannolini, carrozzine, lettini, ecc.); sostegno psicologico in forma di percorsi individuali o di gruppo, attraverso figure professionali formate e accompagnamento ai gruppi di auto-mutuo aiuto tra gestanti e neomamme, destinati a rafforzare le risorse individuali, le reti parentali e amicali di supporto”.
A queste che erano già le opzioni offerte l’anno passato, nel 2024 la Regione Piemonte aggiunge dei corsi formazione per le donne in gravidanza. A gestirli saranno le associazioni Pro Vita che, con i loro progetti, hanno vinto l’apposito bando destinato al terzo settore.
Ed è questa scelta di utilizzo dei fondi pubblici ad aver suscitato un’ondata di polemiche non indifferente, anche perché – a detta dell’Assessore alle Politiche sociali della Regione Piemonte Maurizio Marrone – l’idea è quella di non creare un’iniziativa spot, quanto un capitolo di spesa permanente in bilancio.
Le proteste di sindacato e femministe
Una decisione che, per le associazioni femministe, l’opposizione e la Cgil va letta come puramente ideologica ed ha portato anche alla manifestazione davanti a Palazzo Lascaris – durante una recente seduta del Consiglio regionale – del presidio “Decido io”, che ha chiesto il blocco del progetto Vita nascente e lo stop ai finanziamenti: “Si tratta di un attacco senza precedenti ai diritti delle donne e alla laicità delle istituzioni – sono le accuse del sindacato –, in quanto scelte che mirano a indebolire le tutele della legge 194 per le donne che intendono effettuare l’interruzione di gravidanza. E soprattutto distolgono ingenti risorse pubbliche che potrebbero essere destinate a incrementare la tutela e la salute di genere, per finanziare invece i privati delle associazioni antiabortiste”.
Il dibattito sulla 194
La Regione Piemonte però mantiene salda la sua posizione, anche e proprio in virtù di quella legge – la 194 del 1978 – che secondo il sindacato verrebbe indebolita dalle azioni promosse dall’amministrazione regionale: ad oggi in Italia la donna può richiedere l'interruzione volontaria di gravidanza entro i primi 90 giorni di gestazione per motivi di salute, economici, sociali o familiari, ed è proprio la norma a descrivere le procedure da seguire in caso di richiesta di aborto: “Esame delle possibili soluzioni dei problemi proposti; aiuto alla rimozione delle cause che porterebbero all'interruzione della gravidanza; certificazione; invito a soprassedere per sette giorni in assenza di urgenza, sia entro che oltre i primi 90 giorni di gravidanza”.
È indubbio, dunque, che a tutt’oggi l’obiettivo primario della legge sia ancora la prevenzione dell’aborto “e la tutela sociale della maternità – si legge sul sito del Ministero della Salute – attraverso la rete dei consultori familiari, un obiettivo che si intende perseguire nell’ambito delle politiche di tutela della salute delle donne”.
In Italia, il movimento femminista Non Una Di Meno è sceso in piazza diverse volte chiedendo che l’interruzione volontaria di gravidanza venisse garantita davvero, contro i limiti di una legge ferma agli anni ’70 e gli ostacoli creati da “un’obiezione di coscienza endemica”.
I dati sull’aborto in Italia
Alcuni dati riportati dal Ministero della Salute (relativi al 2020), dimostrano che l’aborto viene praticato dal 60% dei ginecologi al nord, dal 66% al centro, dal 79% al sud e sulle isole, con picchi in Molise (83%) e Sicilia (86%). Numeri che rappresentano una “fotografia sfocata” secondo le ricercatrici Chiara Lalli e Sonia Montegiove che hanno curato lo studio “Mai dati”, pubblicato invece sul sito dell’Associazione Luca Coscioni. Secondo la loro indagine sono 31 (24 ospedali e 7 consultori) le strutture sanitarie in Italia con il 100% di obiettori di coscienza per medici ginecologi, anestesisti, infermieri o OSS. Quasi 50 quelli con una percentuale superiore al 90% e oltre 80 quelli con un tasso di obiezione superiore all’80%.
Anche l’assessore Marrone, però, ha presentato i suoi numeri: “Di fronte alla montagna di latte in polvere, pannolini, culle, aiuti per affitti, bollette e mutui – leggi “aiuto alla rimozione delle cause che porterebbero all'interruzione della gravidanza” nel testo della legge 194 –, che grazie al fondo Vita Nascente, i centri di aiuto alla vita stanno fornendo alle donne e coppie socialmente fragili che non vogliono rinunciare alle loro gravidanze, gli slogan ideologici dell’opposizione suonano sempre più stantii e distanti dal paese reale. Il fondo ha permesso alle associazioni di tutela materno-infantile ed ai servizi sociali di seguire e supportare concretamente 478 madri e i loro bambini. Un successo oltre ogni aspettativa, che ci dice che siamo sulla strada giusta, e che ha superato ampiamente il nostro obiettivo iniziale di cento madri e bambini”. La polemica, come si diceva, infiamma e non intende smorzare i propri toni, come fa sapere anche il Movimento 5 Stelle che promette battaglia e controbatte “L’assessore Marrone ci risparmi la retorica sugli aiuti per le donne, il suo unico interesse è quello di limitarne la libertà di scelta.”