La lotta alla mafia di Addiopizzo: "Ma oggi non è una priorità dell'agenda pubblica"

"Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità", recita il motto della più significativa associazione antiracket di Palermo. Scopriamola con una delle fondatrici

di ANDREA MUCCI -
10 maggio 2023
Francesca Vannini profilo

Francesca Vannini profilo

"Addiopizzo" è una realtà molto attiva che nasce dal basso e dal 2004 si impegna nella lotta alla mafia e per la giustizia sociale svolgendo varie iniziative per contrastare il racket delle estorsioni, particolarmente sul territorio della Sicilia occidentale: Palermo e la sua provincia, Agrigento e Trapani. Per conoscerla e scoprirne l’azione abbiamo intervistato Francesca Vannini, socia fondatrice di questo movimento.

Cos'è il pizzo e che scopo ha l'associazione antiracket

Cosa s’intende innanzitutto per pizzo, la piaga contro cui combattete, e quali sono le finalità dell'associazione, la cui storia testimonia quanto la volontà dei singoli può fare per migliorare un Paese? "Il pizzo, il racket delle estorsioni, è quel fenomeno che ormai da decenni, se non da sempre –perché è uno dei reati che la mafia commette sin dalla sua nascita–, macchia l’economia della Sicilia e in generale delle regioni del sud. E così, sottraendo l’economia lecita in cambio di una presunta protezione, di fatto la mafia non ottiene soltanto un valore o un controllo economico, ma anche un controllo sociale e territoriale".
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Manifesto di Addiopizzo

Questo è il motivo per cui - per Francesca Vannini, socia fondatrice dell'associazione - nonostante si sia contratto negli ultimi anni, il fenomeno dell’estorsione è rimasto un reato che Cosa nostra continua a voler perpetrare sul territorio, perché gli è funzionale al controllo dello stesso. "Dobbiamo immaginare che se la mafia riesce ad estorcere denaro a tutti i negozi di un quartiere, di una strada, di una piazza, in automatico ottiene da parte loro anche acquiescenza, collaborazione.” Per quale motivo? "Un imprenditore che non è disposto a denunciare un reato che è contro la sua proprietà, i propri beni, figuriamoci se denuncerà altre piccole azioni di disturbo che la mafia può tranquillamente operare nel territorio. Peraltro, con l’estorsione la mafia riesce ad intrattenere relazioni con gli imprenditori anche su altri piani, perché in cambio della cosiddetta protezione riceve da essi dei favori, una certa acquiescenza in generale nel comparto delle piccole e medie imprese, quello più diffuso qui in Sicilia". Tramite i fondi derivanti dal pizzo la mafia spesso paga le spese delle famiglie dei malavitosi finiti in carcere. Una specie di welfare... "Il pizzo è veramente il fenomeno forse cruciale della lotta alla criminalità".

La nascita di Addiopizzo

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L'associazione palermitana antiracket Addiopizzo

Com’è nato il vostro comitato? "Dal 2004 ’Addiopizzo’ lotta contro questo fenomeno in un modo abbastanza 'romanzesco'. L’inizio del movimento non è stato studiato o voluto in modo specifico. Forse non ci si aspettava neanche di ottenere questo risultato e di creare un movimento che dopo diciotto anni è ancora molto attivo in città. Nel 2004 a Palermo un gruppo di sette ragazzi tra i 20 e i 30 anni che stava decidendo se aprire o meno un piccolo pub nel centro storico si trovò di fronte all’enigma di tanti imprenditori: ‘E se poi chiedono il pizzo, cosa succede?’ A quel punto decisero che non avrebbero mai voluto pagarlo. Riflettevano, però, su quanto fosse difficile opporsi in una situazione di silenzio e di remissività totale". Infatti l’ultimo imprenditore che aveva denunciato, Libero Grassi, nel ’91, per questa sua scelta era morto. La prima azione dei ragazzi fu quella allora di attirare l’attenzione del grande pubblico sul tema. In che modo? "Attaccando centinaia di adesivi con la frase: 'Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità' sugli spazi liberi del centro storico: uscendo la notte – tra il 28 e il 29 giugno del 2004 - tappezzarono il centro storico di questi adesivi, bianchi, listati a lutto (con il riquadro nero) come si usa fare nei piccoli paesi quando muore qualcuno, per un elogio funebre". A quale scopo? "Perché in quel momento moriva la dignità di un intero popolo e la frase era assolutamente simbolica". La riflessione dei giovani era: se tutti paghiamo e i cittadini e i consumatori non si preoccupano del problema, automaticamente tutti siamo complici del fenomeno. Infatti l’imprenditore paga il pizzo con il denaro versato dai consumatori con gli acquisti nel suo esercizio, per cui la connessione diretta fra il meccanismo non può far sentire, secondo Vannini, i cittadini totalmente esenti dal problema.
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Francesca (Franca) con l'adesivo che recita: "Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità"

Una scossa all'opinione pubblica

E dunque da qui? "I ragazzi decisero di scuotere l’opinione pubblica e ci riuscirono. L’indomani di fatto i telegiornali locali e i giornali parlavano solo di questo e venne addirittura convocato il Comitato dell’ordine e della sicurezza della città di Palermo: il sindaco, il prefetto, il capo dei carabinieri volevano discutere di un problema di sicurezza. S’immaginava che dietro questo atto potesse esserci un commerciante in difficoltà, o qualcuno che volesse denunciare". I sette giovani, infine, inviarono una lettera aperta al Giornale di Sicilia in cui spiegavano la connessione tra acquisti e pizzo e la loro volontà di far comprendere quanto questo fosse un problema da affrontare. Fancesca ha incontrato da giovane il Movimento "Addiopizzo" e – come molti colleghi volontari – racconta di aver voluto aderire per sentire che nel proprio piccolo stava contribuendo in un modo concreto alla lotta alla mafia. Il passo successivo del comitato è stato quello di costruire "un’economia pulita". Questo dimostra come, se coinvolti in una piccola azione quotidiana, si può fare qualcosa di concreto per "rubare pezzettini di economia alla mafia".

L'economia pulita: ognuno può fare la sua parte nella lotta alla mafia

Dal 2004 il movimento s’impegna principalmente su tre ambiti: la lotta alle mafia, l’inclusione sociale e l’assistenza alle vittime di mafia. Vannini ci racconta come è cambiato nel tempo il loro operato e la visione su questi temi da parte dell’opinione pubblica. Il fenomeno della mafia, oggi, in Italia, è legato solo ad alcuni territori o è diffuso su tutto lo Stivale? La socia fondatrice spiega che il fenomeno estorsivo, ma anche in generale l’interesse mafioso, ormai non ha più confini ed è chiaro che anche da altre realtà regionali viene chiesto al comitato un supporto o una testimonianza. Si fa notare che il movimento ha connessioni con scuole di tutta Italia. Riguardo all’evoluzione nel tempo di "Addiopizzo’? "Il nostro movimento ha cambiato strategia nel corso della sua storia: pur mantenendo come obiettivo di base quello del ‘consumo critico’, ovvero certificare le aziende che non vogliono più pagare il pizzo e spingere i consumatori a comprare da loro" per creare un circuito economico libero, a questa principale attività se ne sono aggiunte altre, soprattutto di inclusione sociale.
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Uno stand di Addiopizzo: al consumo critico si è aggiunto l'impegno per l'inclusione sociale e il supporto alle vittime di mafia

“Ad un certo punto della nostra storia ci siamo accorti che ci rivolgevamo principalmente a cittadini e imprenditori che già avevano una cultura di base, una provenienza sociale, una consapevolezza dei diritti che gli consentiva di fare dei ragionamenti con noi: imprenditori disposti a dichiarare di non pagare il pizzo, ma denunciare e cittadini consapevoli sostenitori del consumo critico.” Prosegue poi ricordando che in occasione di un arresto per estorsione a Borgo Vecchio, quartiere molto popolare del capoluogo siciliano, nel tentativo di sensibilizzare le persone del luogo e convincerli a denunciare, associazioni amiche del Comitato confidarono loro che in quel quartiere erano visti come 'sbirri', quindi non di buon occhio. “Ci siamo allora detti che forse andava fatto un passo indietro: dovevamo anche relazionarci con questi territori e far comprendere che dal lato della cosiddetta legalità, in cui stavamo noi, c’erano delle opportunità anche per questi cittadini".

Le opportunità della legalità

Com’è nato il progetto di inclusione sociale? "Nei suoi primi passi ha visto un investimento collettivo: abbiamo chiesto ai nostri sostenitori, tutti i consumatori che venivano dal circuito di ‘Addiopizzo', di fare delle micro donazioni per poi realizzare un intervento di riqualifica in un’area della città. E questo intervento, che è stato fatto insieme alle persone nel quartiere della Maggione e della Calza - dove è la nostra sede e operiamo da anni - ci ha permesso di entrare in contatto con i ragazzini della scuola e a sua volta con le loro difficili famiglie, in cui spesso manca un genitore (perché in carcere o non c’è) e i giovani sono affidati a nonni o zii, non finiscono l’obbligo scolastico e in cui i bisogni sono tanti: insieme ad altre realtà del territorio stiamo cercando col tempo di offrire loro delle alternative". In che modo? “Attraverso lo sport, il doposcuola, mediante gite didattiche, sempre con il supporto della nostra rete composta da coloro che denunciano il pizzo. Se chi ha denunciato è, ad esempio, una ditta di pullman e riesce a regalare una giornata di gita a questi ragazzini, mentre alle loro famiglie è permesso di passare un giorno diverso in un modo sano, facciamo comprendere a tutti, attraverso un’operazione culturale, che anche dal lato della legalità c’è qualcosa che possono ottenere e non soltanto dal lato della mafia".
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Un cartello di sostenitori di Addiopizzo recita: "Stacchiamo la spina alla mafia. Contro il pizzo cambia gli acquisti"

Francesca spiega che quest’attività che "Addiopizzo" concentra nel quartiere della Calza e altre associazioni in altri quartieri potrebbe sembrare un percorso lontano dall’antiracket, ma in realtà è connesso con l’antimafia: non è sufficiente arrestare i criminali, bisogna togliere le condizioni precedenti per cui i giovani diventano criminali. Se invece è consentito loro di studiare, stare in un ambiente sereno con modelli alternativi, fare sport, ecco che poi questo si trasforma in una riqualifica anche sociale della città "Anche perché – rimarca Vannini – c’è sempre più bisogno di cittadinanza attiva".

Giovani contro la mafia

In una società individualista come la nostra come è possibile – a suo parere – riuscire a sensibilizzare le giovani generazioni sui temi del rispetto delle regole e della legalità? "La domanda è molto attuale perché negli ultimi anni l’associazione fa molta fatica ad approcciarsi ai più giovani, a reclutare fra loro nuovi volontari”. Come mai? "Ci siamo dati varie spiegazioni: intanto sicuramente la lotta alla mafia non è più il primo punto all’ordine del giorno dell’agenda pubblica, come lo era nei primi anni dalla nostra fondazione: oggi ci sono temi importantissimi come il rispetto dell’ambiente, il problema delle emigrazioni e quindi dell’integrazione dei migranti, che probabilmente attirano anche di più, perché sembrano più attuali della lotta alla mafia. D’altro canto questa tendenza all’individualismo o un parziale disimpegno dei ragazzi più giovani ha creato attorno al movimento un piccolo gap generazionale. E anche vero però che quando trasformiamo i discorsi in azioni, in concretezza, riusciamo a coinvolgere i giovani che hanno bisogno di fatti per verificare che ciò che gli viene detto a parole sia reale, sia applicabile al loro contesto, al loro vissuto".

Gli incontri nelle scuole e Addiopizzo Travel

Proprio per questo "Addiopizzo" porta da sempre avanti e promuove gli incontri con le scuole di ogni ordine e grado per coinvolgere i giovani in percorsi attivi. Il comitato ha attivato inoltre percorsi di alternanza scuola-lavoro, con le classi che aiutano nell’educativa di strada alla Maggione. Infine c'è "Addiopizzo Travel",  agenzia di viaggi, nata da soci a seguito della sigla dell'associazione, che si occupa di ospitare scolaresche di tutta Italia facendo viaggi che permettono di conoscere la mafia del territorio. Vannini ci tiene a sottolineare che il modello siciliano della lotta alla mafia è un fiore all’occhiello del nostro Codice Penale e per questo viene studiato attraverso corsi di laurea di università straniere e ancora che l’aspetto repressivo della criminalità sul territorio siciliano è molto avanzato rispetto alle normative di altri Paesi.