“Come ti definisci, in relazione alla tua disabilità e/o neurodivergenza?”. Questa è solo una delle domande che Bianca Misuri, fiorentina di 24 anni, studentessa all’università di Trieste e si sta per laureare in Comunicazione interlinguistica applicata, pone nel suo questionario. “Sto portando avanti una tesi in linguistica italiana, una ricerca sul linguaggio preferito dalle persone con disabilità per auto-definirsi”.
Un progetto nato da un interesse personale ma che si amplia a livello sociale, per poter essere utile a chiunque, non solo ai protagonisti stessi che possono supportare la laureanda partecipando al sondaggio (qui il link: https://forms.gle/JpDMVPM79Amg8p569).
Il linguaggio, lo abbiamo ripetuto tante volte sul nostro canale e sui nostri social, definisce la realtà. Ed è quindi essenziale utilizzare formule, parole, perifrasi, intere frasi che siano il più possibili inclusive e rispettose, provando sempre a non prevaricare la persona con modi di dire o definizioni che non rispecchino il suo sentire, la sua identità, il suo modo di definire se stessa.
Bianca perché ha pensato proprio a questo tipo di ricerca? Com’è nata l’idea?
“Viene da uno stimolo personale. Nel 2021 mi è stata diagnosticata la Sindrome di Tourette ma già nel 2020 si erano presentati i sintomi che si sono rivelati essere molto invalidanti. Nel corso degli anni ho ricevuto altre diagnosi, tra cui endometriosi e adenomiosi, di patologie che hanno reso più difficile la vita di tutti i giorni e che per me si sono rivelate vere disabilità. Soprattutto con la Tourette ho iniziato a notare come le persone si rivolgevano a me, come si parlava di disabilità, e mi sono avvicinata all’attivismo proprio in questo campo, a interessarmi di più. Ho scoperto un mondo che non conoscevo, visto che non se ne parla e c’è poca risonanza sull’argomento. Quindi per questo ho deciso di portarlo nella mai tesi”.
Quindi il tuo lavoro si rivolge anche a persone con malattie croniche come quelle che hai tu?
"No, non le ho incluse perché non sempre i malati cronici si definiscono disabili, come spiego. Ma è una cosa a cui tenevo, parlare dal punto di chi ha una disabilità”.
Come si struttura il lavoro della sua tesi? C’è un sondaggio online e poi?
“In pratica parte dall’analisi di alcune linee guida che ho trovato, a livello sia nazionale che internazionale, sul linguaggio più corretto da usare in tema di disabilità. Dopodiché, con la somministrazione del questionario vado a chiedere ai diretti interessati, quindi le persone con disabilità, quali siano le loro preferenze per autodefinirsi o come vogliono che le altre persone si rivolgano a loro. Nel questionario al momento ho scelto disabilità visive, auditive, motorie e le neurodivergenze.
Su quest’ultima parte, ci tengo a dirlo, viene chiesto se la neurodivergenza che la persona ha vine considerata disabilità o meno, perché è uno spettro molto ampio e ci sono persone che si considerano disabili e altre no”.
Che tipo di linee guida ha analizzato?
"A livello mondiale sono partita dalle linee guida dell’Onu sulla comunicazione inclusiva nell’ambito della disabilità, che riguarda non solo il come rivolgersi alle persone ma anche come essere inclusivi e accessibili nei contenuti proposti.
Poi quelle del Segretariato generale dell’Unione Europea, che parlano di inclusione in generale non solo nell’ambito della disabilità, ma anche di genere e altri campi.
A livello nazionale non ho trovato qualcosa rilasciato da enti pubblici istituzionali ma solo patrocini da parte del ministero. Quindi faccio riferimento alle Linee guida dell’Agenzia delle Entrate e di Intesa Sanpaolo, che si appoggiano a vicenda pur essendo indipendenti; quelle rilasciate dall’associazione Anffas e infine quelle dell’Ordine nazionale dei giornalisti del 2024”.
Se fosse stata lei a trovarsi a rispondere al questionario, come si sarebbe definita?
“Dipende da quando me lo avrebbero chiesto. C’è stato un periodo di accettazione perché l’abilismo nella società è sia proiettato sulle persone che poi interiorizzato. All’inizio mi sono definita malata ma non disabile, adesso e ormai da tempo mi definisco disabile senza problemi”.
Ha percepito o vissuto discriminazione per questo?
“Con l’abilismo le esperienze sono molto personali. Nella parte linguistica, che è poi quella che analizzo in parte nella tesi, le discriminazioni possono essere simili, vanno dalle offese a un linguaggio molto paternalistico. Però a livello della mia disabilità, con la sindrome di Tourette, ho trovato discriminazioni specifiche per questa patologia e chi invece ha una disabilità motoria si trova invece a fare i conti con barriere fisiche. Quindi diciamo che ci sono discriminazioni uniche per i vari tipi di disabilità”.
Ma parla comunque di un clima abilista in generale
"Sì, sia nel bene che nel male in realtà. A volte c’è cattiveria dietro, altre ci sono buone intenzioni ma lo stesso si viene a creare un ambiente malsano, si trattano le persone con disabilità come se fossero o meno intelligenti, o ci fosse in loro una difficoltà di base a cui viene aggiunta una ulteriore. Questo va a mettere ancora di più in difficoltà queste persone, che non sono libere si esprimersi liberamente, che si sentono parlare con toni paternalistici e infantilizzanti”.
Quindi lei cosa suggerisce di fare?
"Chiedere sempre alla persona, senza vergogna. Meglio parlare sempre con lei di quali sono le sue difficoltà e come si può aiutare che dare per scontato, perché altrimenti tante cose possono poi non funzionare”.
Vorrebbe portare avanti questo impegno sulla disabilità anche dopo la laurea?
“La volontà c’è. Ora devo chiudere il questionario per la tesi e pensare a quella, poi in futuro magari valuterò di aprirne uno nuovo magari ampliando anche lo spettro delle disabilità, comprendendo anche le malattie croniche. Mi farebbe piacere sicuramente continuare il lavoro, ma sono una persona che fa un passo alla volta: intanto la laurea, con la tesi da chiudere al meglio, poi si vedrà”.
Quindi se le chiedo come si vede nel futuro che mi risponde?
"Onestamente non credo di avere ancora una risposta. Di sicuro quello che sto studiandomi piace molto, quindi che io finisca a fare un dottorato in linguistica o un lavoro come traduttrice non so cosa il futuro ha in serbo per me”.