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Perché “L’effetto Dorothy”, mockumentary Raiplay sull’università Italiana, funziona

La puntata pilota di 25 minuti racconta, per estensione, la storia dell’Università italiana, tra evoluzionismi, genio, sregolatezza e vuoti da colmare. L’intento è chiaro: raccontare in piano sequenza un Paese che lascia indietro il futuro

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI -
23 marzo 2024
Su RaiPlay l'episodio pilota di "L’effetto Dorothy"

Su RaiPlay l'episodio pilota di "L’effetto Dorothy"

Se non avete mai sentito parlare di serie “mockumentary”, preparatevi a prendere appunti. Dallo scorso 15 marzo, su RaiPlay è sbarcata la puntata pilota di un prodotto che, se vivessimo in un Paese che segue logiche sociali regolari, sarebbe destinato a far parlare parecchio di sé.

L’effetto Dorothy

Si intitola “L’effetto Dorothy”, è scritto da Luca Avagliano e Gregory Eve, ha vinto la quinta edizione del Premio Solinas Experimenta Serie, vede come protagonista Ninni Bruschetta ed è realizzato con la regia di Valerio Attanasio.

Lo stile è innovativo: una fiction che ricalca i moduli stilistici e narrativi propri del documentario, con chiarissimi e assai ben riusciti intenti parodici o satirici. Da qui l’origine del neologismo che ha dato nome al genere (mock “prendere in giro” e documentary “documentario”). “L’effetto Dorothy” racconta le vicende quotidiane di un gruppo di ricercatori della fantomatica Università di Volterra che, sotto la guida del professor Dorotei, eccentrico psicologo evoluzionista, si occupano di condurre – tra il serio e il faceto – esperimenti a dimostrazione di teorie più o meno sensate. Al centro del plot, l’avvio di un progetto finanziato dalla fondazione del professor Ozelet, con sede in Belgio, finalizzato a riprendere a ciclo continuo le attività del team.

Le condizioni dell’incasso sono nette: Dorotei dovrà essere costantemente accompagnato da due operatori che si occuperanno di filmare il lavoro dei ricercatori per realizzare un documentario su metodologie e risultati di un esperimento che dovrebbe avere il compito di dimostrare o confutare la teoria sull’attenzione selettiva del “Gorilla invisibile”.

Nonostante lo scetticismo del suo più fedele collaboratore, il professore si è posto come obiettivo dimostrare che gli esseri umani sono sempre pronti a cogliere segnali esterni anche quando assorti in attività logiche impegnative. Una sorta di Grande Fratello applicato alla scienza che, seppur fastidiosamente invasivo e capace di mettere a nudo tutte le debolezze del gruppo e, per estensione, dell’Università (all’)italiana, genera risorse e, dunque, aprioristici sì.

L’università (all’) italiana 

Evoluzionismo a parte, al centro della scena c’è l’italianità fatta università, tra ricercatori precari, professori assetati di fama e notorietà, luoghi di socialità all’esterno degli Atenei pressoché abbandonati al loro destino, tentazioni di mollare tutto e fuggire all’estero e tanta forza di volontà, quella che manda avanti un sistema che, nonostante tutto, continua a essere tra i migliori in termini di “cervelli” su scala internazionale.

E poi tanta psicologia dei gruppi, critica politica, sociologia applicata in pillole afferrabili da menti più o meno allenate. Sul finale dell’unica puntata pilota attualmente presente su RaiPlay si comprende che oltre il premio c’è di più e che Dorotei, nonostante la fama di protagonista seriale, potrà rivelarsi il volto buono di un sistema accademico che dovrebbe imparare a dare, nei limiti del consentito, il giusto spazio a genio e sregolatezza che, com’è noto, hanno (quasi) sempre dato alla luce qualcosa di buono.

Un documentario fuori dagli schemi 

“L’effetto Dorothy” ha vinto il concorso realizzato in collaborazione con Rai Fiction che ha consentito al progetto l’accesso a un percorso di Alta Formazione per selezionare e sviluppare progetti innovativi di racconto seriale, della durata di 25 minuti a puntata, e finalizzato alla realizzazione del pilota di serie disponibile in piattaforma.

Nel cast, oltre a Bruschetta, ci sono Luca Avagliano, Melissa Anna Bartolini, Tomas Leardini, Federica Torchetti e Barbara Folchitto. L’auspicio è, presto, di poter ragionare sulle altre puntate. Interessante sarebbe portare il mockumentary nelle aule delle facoltà italiane, quelle di psicologia ma anche di comunicazione e sociologia, per ragionare, oltre che sul fronte contenutistico, su quello dello strumento seriale come metodo – appunto – di comunicazione e veicolazione di messaggi sociali e politici. Un esperimento meritevole di essere documentato, in perfetto stile “effetto Droste”.