A poche ore dall’appuntamento con le urne, uno degli argomenti più dibattuti sui social e nelle piazze è quello della tripla preferenza di genere. Uno strumento attraverso il quale - a quanto si dice - le donne dovrebbero essere avvantaggiate nel meccanismo elettivo. Ma è davvero così o si tratta dell’ennesima trovata tecnico-comunicativa per fare in modo che nulla cambi?
Mettiamo le cose in chiaro: indubbiamente, quella della tripla preferenza è un’opportunità positiva per le donne. Se tutte e tutti - o tante e tanti - decidessimo di scrivere il nome di due donne e di un uomo nello spazio della scheda elettorale dedicato alle preferenze, avremmo la possibilità di tingere di rosa l’arco parlamentare europeo. Il fatto è che la decisione è puramente discrezionale e, escludendo le addette e gli addetti ai lavori, c’è da scommettere che le tre preferenze con lo schema donna-uomo-donna saranno poche. Per provare a fare chiarezza sulla faccenda ne abbiamo parlato con Laura Onofri, giurista e presidente di “Se non ora quando?” di Torino.
La contraddizione delle cosiddette “quote rosa”
Senza girarci troppo intorno, Onofri ha chiarito che, dal suo punto di vista, la tripla preferenza di genere non può essere considerata la soluzione a tutti i nostri problemi. “Pensare che, dando la possibilità alle elettrici e agli elettori di scrivere i nomi di due donne e quello di un uomo, si sia risolto il problema della parità di genere è illusorio”, ha chiarito. “Il problema - ha proseguito - non riguarda gli strumenti che abbiamo a disposizione, non solo. Piuttosto, è legato a retaggi culturali che per troppo tempo hanno tenuto le donne lontane dai ruoli apicali e che oggi continuano ad avere strascichi nella società e nei partiti.” Nell’opinione di Onofri, peraltro, la tripla preferenza di genere porta con sé due questioni assai spinose. La prima riguarda il principio della rappresentanza che deve essere sostanziale e non solo formale. Legare la presenza delle donne nelle liste - e dunque negli organismi istituzionali - al riempimento di una casella è, secondo lei, concettualmente errato.
“L’esempio di Meloni alla presidenza del Consiglio - ha argomentato - ne è la prova: una donna purché sia non è mai positivo. Abbiamo bisogno di donne capaci di promuovere politiche per le donne, non di donne che, sotto mentite spoglie, agiscono al maschile singolare.” L’altro rischio che Onofri vede all’orizzonte è relativo allo spoglio delle schede: “Qualora, a scrutini terminati, dovesse emergere un dato non rincuorante in merito alle preferenze ricevute dalle donne, l’operazione della tripla preferenza rischierebbe di trasformarsi in un boomerang, dando argomenti a chi di sostenere la causa femminile e femminista non ne ha intenzione alcuna.”
La sintesi è presto fatta: nella visione di Onofri, la tripla preferenza di genere, se non accompagnata da un ribaltamento culturale, rischia di essere l’ennesima infrastruttura buona, giusta, ma priva di un concreto risvolto. Meglio sarebbe lavorare sul fronte della cultura e della promozione di candidature capaci di portare con sé non solo il valore del proprio genere, ma competenze e conoscenze in grado di fare davvero la differenza. In questa direzione è andata la campagna di “Se non ora quando?” Torino organizzata nell’ambito della campagna elettorale per le europee. “La parola chiave - ha spiegato Onofri - è stata consapevolezza. Alle candidate e ai candidati abbiamo formulato quesiti cruciali, a nostro giudizio, per comprendere senza equivoci le loro intenzioni politiche. Perché non basta la tripla preferenza di genere per fare dei candidati le persone giuste per le politiche di cui le donne e il Paese hanno urgenza.” Cittadina di una Regione (il Piemonte) che andrà al voto il prossimo fine settimana e che per la prima volta se la vedrà con la doppia preferenza di genere, Laura Onofri ha chiarito ciò che tutte e tutti sospettavamo: il maquillage non basta più. Per un’Europa davvero femminile e femminista servono donne e uomini capaci di esserlo e non solo di dirlo.