Rom e Sinti, da sempre emarginati: “Riconoscere lo status di minoranza”

Attivista, politica, mediatrice culturale. Dijana Pavlovic ne ha fatto una battaglia: “L'Italia non riconosce lo sterminio di rom e sinti durante la seconda guerra mondiale, così come ancora oggi non riconosce la loro presenza sul territorio”

di GUIDO GUIDI GUERRERA
7 ottobre 2024
Dijana Pavlovic

Dijana Pavlovic, attivista e mediatrice culturale

“Sei una zingara e tale sarai per tutta la vita”. Era una bambina Dijana Pavlovic quando lo stiletto di quella frase la colpì ferendola nel profondo. Ed è molto probabile che sia stato il primo di una lunga serie. Lei nata a Kruševac in Serbia, vive in Italia dal '99: una donna forte e determinata che oltre a svolgere la professione di attrice, deve la sua popolarità al ruolo di vice presidente dell'associazione Upre di Roma ma anche a quello di portavoce, attraverso il movimento Ketano, dell'Alleanza Romanì.

Da diversi anni Dijana promuove infatti la cultura e la letteratura rom e sinti in Italia e in Europa ricoprendo anche il ruolo di mediatrice culturale nelle scuole . Notevole il suo impegno politico che nel 2006 l'ha vista candidata per il consiglio comunale di Milano e due anni dopo per il Parlamento nelle liste di Sinistra L'Arcobaleno.

E proprio nell'ottobre di 17 anni fa ha messo in atto uno sciopero della fame allo scopo di sensibilizzare l'amministrazione milanese sulla questione Rom, arrivando alla realizzazione di un tavolo congiunto con la partecipazione di varie associazioni e sigle sindacali.

“Ribadisco che sarebbe fondamentale il riconoscimento dello status di minoranza in Italia. Questo renderebbe più efficace e possibile qualsiasi intervento perché potendo contare su misure legislative e progettuali metterebbe fine alla discriminazione con tutte le sue conseguenze. Se si parte dall’idea che rom e sinti possono essere una risorsa sociale culturale ed economica di cui il paese ha bisogno, sarebbe più facile immaginare interventi adeguati.”

L'attivista mette ancora il dito sulla piaga dei troppi e reiterati episodi di intolleranza che riguardano i cosiddetti 'zingari' , ultimo dei quali segnato dallo sgombero 'pacifico' del campo nomadi Lombroso della Capitale. “Senza un impegno adeguato e decisivo – sottolinea Dijana – non sarà mai possibile trovare una soluzione in grado di mettere la parola fine al fenomeno dell'emarginazione e dell'esclusione sociale di Sinti e Rom.”

L'intervista

Una nazione senza stato come quella dei Romanì può attendere un riconoscimento di diritto come minoranza?

“La Costituzione italiana negli articoli 3 e 6 contempla il riconoscimento e la tutela delle minoranze e gli organismi internazionali, come il Consiglio d'Europa, lo chiedono da tempo e con insistenza. In Italia siamo la più grande minoranza non riconosciuta, nonostante il fatto di essere presenti sul territorio italiano sin dal 1400. In più abbiamo subito un genocidio durante la seconda guerra mondiale, pure quello non riconosciuto dallo Stato italiano, anche se uguale per la sua connotazione razziale a quello ebraico per essere stati internati nei campi fascisti. Non va dimenticato inoltre che abbiamo preso parte alla resistenza italiana contro il nazifascismo e abbiamo contribuito anche noi alla costituzione antifascista e dopo la seconda guerra mondiale fino agli anni '80 abbiamo subito la segregazione scolastica istituzionalizzata con le classi Lacio Drom per i bambini zingari e un antiziganismo diffuso attraverso l’emarginazione razziale nei campi nomadi, con violenze e oppressioni di ogni genere. Possiamo a questo punto attenderci ancora il riconoscimento? Direi di no. Da quando nel ’99 fu redatta la legge 482 che riconosce 12 minoranze italiane, esclusa la nostra, si sono succeduti diversi governi che nonostante le differenze hanno considerato questo un argomento scomodo. Eppure il riconoscimento delle minoranze, della varietà di culture è la cartina di tornasole dell’evoluzione civile e giuridica di una mondo in cui non si sentono più dire ai bambini frasi del tipo: "Attenti agli zingari.." Oggi è fondamentale continuare a creare consensi e alleanze su questo tema, perché, oltre ad essere importante per Rom e Sinti, penso sia importante per la società in generale, nell’interesse della vita democratica del nostro Paese.”

Cosa significa essere  etichettati con l' espressione " zingari"?

“Spesso significa subire violenze. Essere buttati fuori da un bar, essere licenziati dal lavoro, subire azioni di bullismo e discriminazione in classe, essere oggetto dell'aggravante rom dal sistema giudiziario o essere sgomberati 10, 12 volte nel giro di un anno. Ma anche essere esclusi dal sistema sanitario, scolastico, abitativo per non parlare del lavoro. L’umiliazione di andare a chiedere aiuto all'assistente sociale per fare la domanda sperando di ottenere una casa popolare e sentirsi dire: ‘voi non ne avete il diritto, siete nomadi’. E quando finalmente si arriva dopo mille peripezie burocratiche all'assegnazione di una casa popolare, vedi un intero quartiere scagliarsi contro di te. Tutto questo suscita vergogna, inadeguatezza e sensi di colpa, ma anche rabbia. Però proprio questo può diventare una marcia in più, una grande forza che consente di avere una prospettiva più ampia.”

Qual è il ruolo delle donne nelle comunità Sinti e Rom?

“Il ruolo della donna secondo me è stato sempre condizionato moltissimo dalle religioni , specialmente quelle monoteistiche che non sono state mai troppo gentili con le donne. Abbiamo alcuni documenti storici e scritti che descrivono l'organizzazione sociale rom, prima dell'adozione delle religioni monoteiste (cristianesimo e islam), di tipo spiccatamente matriarcale, in seno alla quale la pratica della cura e della magia attribuiva alle donne potere e leadership. Successivamente le cose sono cambiate e in questo momento la situazione è abbastanza variegata: da una parte sopravvivono alcune comunità dove le donne sono leader, mentre in altre vige la regola della sottomissione e si pratica il matrimonio combinato.”

In qualità di portavoce del movimento Khetane, quali elementi sono da considerare indefettibili per una integrazione nel nostro paese?

“Innanzitutto ribadisco che sarebbe fondamentale il riconoscimento dello status di minoranza. Questo renderebbe più efficace e possibile qualsiasi intervento perché potendo contare su misure legislative e progettuali metterebbe fine alla discriminazione con tutte le sue conseguenze. Se si parte dall'idea che rom e sinti sono una risorsa sociale culturale ed economica di cui il paese ha bisogno, sarebbe più facile immaginare interventi adeguati. Migliorando, ad esempio, la legge 337 che regolamenta l'esercizio dello spettacolo viaggiante o fare una buona ed efficace legge per i piccoli operatori di riciclo e riuso. Rendere il sistema di istruzione più inclusivo ascoltando le nostre proposte e immaginando investimenti nell'edilizia popolare volti all'abitare comunitario a basso costo di qualità ed ecosostenibile".

Ha mai subito discriminazioni?

“Certo come tutti noi, come tutti i nostri figli. Nel mio caso, per una serie di motivi, la rabbia che ho provato si è trasformata in forza positiva, una marcia in più. Purtroppo non è sempre così.”

Quali le speranze e quali i progetti per il futuro?

“Nessuno di noi può più immaginare il futuro improntato a un elenco di progetti. Stiamo vivendo i tempi estremamente complessi e pericolosi, di grandi cambiamenti e trasformazioni, di guerre e sfide geopolitiche estreme. Stiamo assistendo a un impressionante crollo di valori, a una crisi del sistema democratico e capitalistico, a grandi cambiamenti climatici e a nuove e ignote sfide prospettate dall'intelligenza artificiale. Abbiamo, allora, tutti il ​​dovere di allargare i nostri sguardi, provare a comprendere la complessità e prendere una posizione, immaginando il mondo che vorremmo per i nostri figli. La mia speranza e impegno sono rivolti nel trovarmi dalla parte giusta della storia, persistendo nel percorso pur controcorrente che ho intrapreso e nel quale credo.”