FIRENZE, 12 giugno 2024 - A distanza di 13 anni dalla loro entrata in vigore, le cosiddette “quote rosa” hanno ancora senso di esistere? Lo avevamo chiesto mesi fa, con le elezioni all’orizzonte, al politologo Alessandro Chiaramonte e torniamo a parlarne con lui a urne chiuse. Il concetto allora espresso era chiaro: la norma è stata senza dubbio utile alla causa, ovvero ad incentivare la rappresentanza femminile nella politica, nel caso specifico, non senza difficoltà. Una volta raggiunta la parità di genere, avvenuto quindi il cambiamento culturale che si auspica, gli incentivi possono anche venir meno. Ma non è ancora arrivato quel momento. La percentuale delle donne elette in quest’ultima tornata elettorale è in linea con il trend in crescita degli ultimi anni, ma siamo ancora lontani dal fifty-fifty. In Toscana, su 167 sindaci eletti 38 sono donne; in Umbria su 60 comuni al voto, 7 saranno guidati da prime cittadine (numero destinato a salire, anche se di poco, considerando i ballottaggi, fra tutti quello del capoluogo).
Anche senza un confronto sui numeri, possiamo dire che si tratta di percentuali meno basse rispetto al passato?
"Alle elezioni comunali la presenza delle donne è tendenzialmente più bassa, è vero che c’è la doppia preferenza ma mancano altri incentivi".
Ovvero?
"Ad esempio, nelle elezioni politiche l’attuale legge elettorale prevede l’ordine alternato nelle liste, punta a portare minimo al 40% il sesso meno rappresentato nelle liste, tra i capilista, all’interno dei collegi. Si tratta di vincoli importanti al comportamento dei partiti nella selezione dei candidati, che aiuta la presenza femminile".
Diamo un rapido sguardo alle europee: l’Italia su 76 parlamentari ha eletto 25 donne, senza contare Schlein e Meloni.
"Ovvero il 33%. Un dato che coincide con quello del parlamento italiano, dove ad oggi la presenza delle donne si attesta intorno al 32-33%. In leggero calo rispetto al record storico del 2018, quando era al 35%, ma comunque si conferma l’incremento progressivo avvenuto dagli anni ’90, quando la percentuale di parlamentari donne nel nostro Paese era poco sopra il 10%".
Il sistema della tripla preferenza alle europee è effettivamente un incentivo?
"In parte sì, perché su tre preferenze bisogna scegliere almeno una donna, ma è anche vero che non sono tantissime le persone che esprimono tre preferenze. La maggior parte degli elettori votanti ne esprime due".
Il fatto che l’attuale leadership italiana, ma non solo, sia donna, influenza o è solo uno specchietto per le allodole?
"E’ un aspetto importante. Studi in passato hanno messo in rilievo l’aumento delle donne in politica, nelle assemblee rappresentative, ma mancava sempre quell’ultimo scalino utile a sfondare il soffitto di cristallo, a conquistare la posizione di vertice. Oggi, con le tante leader donne, di governo e di partito, si è raggiunto anche questo livello. E una politica al femminile, rappresentata da donne diverse tra loro, fa sì che il genere diventi irrilevante. La cosa interessante è proprio questa: con l’acquisizione di posizioni di vertice, non si fa più caso al fatto che la leader di governo sia donna. Diventa una nuova normalità".
Quindi rischia di essere anacronistica una narrazione giornalistica atta a risaltare la presenza di donne al potere?
"Credo che ancora serva, perché questo processo di normalizzazione non è ancora completo. Parlarne è servito al processo di cambiamento e serve tutt’ora a metterlo in rilievo. Quando non ne parleremo più sarà un’ottima notizia perché vorrà dire che avremmo raggiunto una vera parità".