È diventata un’icona del
femminismo, dell’emancipazione femminile. Artemisia Gentileschi attraversa da protagonista tutta la prima metà del Seicento, riuscendo a superare il trauma di uno stupro e ad affermarsi come pittrice, in un ambiente dominato, e così sarebbe stato ancora a lungo, da figure maschili. Le rende omaggio un'importante mostra,
Artemisia Gentileschi tra Roma, Firenze e Napoli, realizzata con il sostegno della Regione Campania. Aperta al pubblico dal
30 aprile al 3 luglio con la curatela di Pierluigi Leone de Castris, la monografica vuole provare a collegare l’attività napoletana alle tappe fiorentine e romane che compongono la carriera della pittrice. Un’esposizione che regala al visitatore opere molto note ed alcune quasi sconosciute, realizzata grazie a importanti prestiti giunti dalla Galleria degli Uffizi e da Palazzo Pitti di Firenze, dal Museo di Capodimonte di Napoli e da altri musei e Fondazioni e da alcuni collezionisti privati. La rassegna partenopea vuol rendere omaggio a questa
pittora che ha avuto un ruolo nella formazione del linguaggio degli artisti meridionali del
secolo d’oro. Il tratto distintivo dell’esposizione è il suo essere incentrata sulla vita, sulla formazione e sulla carriera dall’artista e anche sul suo rapporto con l’opera del padre Orazio o con la lezione di Caravaggio. Tra i capolavori esposti nelle sale del
Museo Diocesano di Napoli le sue tante interpretazioni del soggetto di
Giuditta - partendo da quella precoce del Museo di Capodimonte fino a le versione conservata alla Galleria Palatina e quella della Galleria degli Uffizi di Firenze - , che rappresentano forse la traduzione più efficace, originale e violenta del soggetto per almeno due volte prescelto da
Caravaggio. Certo è che sia a Roma, sia a Firenze e anche a Napoli, i luoghi dove più a lungo
Artemisia Gentileschi si trovò a lavorare, la sua pittura forte, naturalista, ma insieme preziosa e raffinata, riscosse grande successo sia per quanto riguarda i collezionisti sia i maggiori pittori del tempo, che con lei si trovarono a interloquire e a collaborare.
Quattro sezioni
In foto particolare del quadro in mostra: “Santa Maria Maddalena“, Artemisia Gentileschi,olio su Tela, 170x133x10 cm Firenze, Palazzo Pitti
La rassegna appena inaugurata si compone di
4 diverse sezioni:
La giovinezza, la formazione con Orazio e i primi successi (1593-1620);
Autoritratti, Giuditte e altre eroine;
Gli anni della maturità (1620-1654) e
Artemisia a Napoli (1630-1654).
Artemisia a Napoli
L’attività di Artemisia a Napoli copre
25 anni e, per quanto interrotta dal soggiorno a Londra (1638-1640), rappresenta la tappa più lunga della sua carriera di pittrice. La produzione di questi anni è vasta e comprende pale d’altare e quadri sacri come le tele di Pozzuoli, l’
Annunciazione datata 1630 del Museo di Capodimonte o la
Nascita del Battista del Prado, parte di una serie destinata al Palazzo Reale del Buen Retiro cui collaborò anche il napoletano Stanzione, e storie e figure di eroine. Durante la sua lunga parentesi campana, Artemisia Gentileschi, come si evince da numerosi documenti, collaborò con altri pittori: fra questi, Onofrio Palumbo, Bernardo Cavallino, Micco Spadaro, Viviano Codazzi, Giuseppe Di Franco e Titta Colimodio.
Le collaborazioni
Non mancarono collaborazioni con altri naturalisti locali, come Paolo Finoglio, Francesco Guarino, Andrea Vaccaro o lo stesso Massimo Stanzione: influenze si ravvisano infatti in opere quali la
Galatea della National Gallery di Washington, come nella
Betsabea di Columbus, nella
Susanna e nella
Corisca di due raccolte private di Londra e di Napoli, e ancora nel
Giudizio di Paride dell’Accademia di Vienna, nel
Lot e le figlie di Toledo (Ohio) o anche in varie figure di Sante.
Chi è artemisia Gentileschi: la gioventù
Artemisia aveva iniziato molto presto a maneggiare pennelli e colori nella bottega del padre, il pittore toscano
Orazio Gentileschi, affermato interprete della pittura naturalistico caravaggesca. In quello studio, in via della Croce, a
Roma, era un via vai di artisti e Artemisia, la prima dei suoi 4 figli, da piccola aveva anche posato per il padre.
La violenza sessuale
Artemisia Gentileschi, Sansone e Dalila (olio su tela, 90,50 x 109,50 cm; Collezione Intesa Sanpaolo | Napoli, Gallerie d’Italia). Archivio Patrimonio Artistico Intesa Sanpaolo
Ha talento, indiscutibilmente, ed è precoce, come testimonia il grande quadro
Susanna e i vecchioni, del 1610, realizzato da Artemisia a soli 17 anni, custodito nel castello bavarese di Weissenstein. Ed è a Roma che il 6 maggio 1611
viene violentata da Agostino Tassi, un pittore amico del padre e da quest’ultimo affiancato alla figlia affinché le insegnasse le nuove tecniche prospettiche. Lui, più grande di lei, è già sposato, e non può assicurare ad Artemisia un matrimonio riparatore. Orazio Gentileschi lo denuncia al Sant’Uffizio e viene intentato un processo che fa scalpore.
Da vittima dello stupro, Artemisia si trova quasi ad assumere il ruolo di accusata, complice consenziente di quella violenza. Viene torturata, la
tortura della Sibilla, con una corda che le stringe le dita fino a farle sanguinare, rischiando di vedere compromessa la sua capacità di dipingere. Alla fine il
Tassi è condannato dai giudici dello Stato Pontificio a 5 anni di esilio, ma ne sconterà solo pochi mesi.
Lo scandalo
Artemisia Gentileschi, “Susanna e i vecchioni" (olio su tela, 200,5 × 225,5 cm; Bologna, Pinacoteca nazionale, inv. 6320). Su concessione del Ministero della Cultura – Pinacoteca Nazionale di Bologna
Lo scandalo è enorme e per Artemisia è impossibile rimanere a Roma. Sposa un modesto pittore fiorentino più grande di lei, e da lei non amato,
Pierantonio di Vincenzo Stiattesi e, a 19 anni, si trasferisce con lui a Firenze. Nel quadro
Giuditta che taglia la testa a Oloferne, alcuni critici ravvisano una sorta di trasfigurazione – da parte della Gentileschi – della violenza subita. A Firenze la pittrice ha commitenze e incontri importanti, anche col
nipote di Michelangelo, Michelangelo Buonarroti il Giovane, e
Galileo Galilei. Diventa amica dello scienziato ed è sotto l’influenza dei suoi studi che dipinge quadri come
Aurora e
Inclinazione. Impara a leggere e a scrivere (e invia infuocate lettere d’amore all’amante) e nel 1616 è la prima donna ad essere ammessa nella prestigiosa
Accademia del Disegno. Lascia la corte medicea e torna a Roma, dove può condurre una vita agiata. Conosciuta e apprezzata anche da
Carlo I Stuart, nel 1638 raggiunge a Londra il padre, che muore l’anno dopo tra le sue braccia. Artemisia realizza diverse opere per il re e la regina Henrietta Maria, ma sono andate quasi tutte disperse tranne
Allegoria della pittura, proprietà della Royal Collection. Nel 1629, si trasferisce a Napoli, dove trascorre il resto della vita.
Muore a 60 anni, lasciando opere in cui le donne, sensuali quanto forti come
Giuditta e
Cleopatra (dove spesso ritrae se stessa) diventano protagoniste. Sulla sua tomba, come si usa per i grandi, era stato inciso soltanto il nome,
Artemisia.