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Senza biodiversità non c'è vita: il danneggiamento degli ecosistemi accende l'allarme

di DOMENICO GUARINO -
13 giugno 2022
Tartaruga

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Senza biodiversità non c’è vita. Tutelare la molteplicità delle specie animali e vegetali è dunque un presupposto fondamentale per la conservazione anche della nostra specie. Negli ultimi anni tuttavia, l’azione dell’uomo ha impattato pesantemente sugli ecosistemi, danneggiandoli, impoverendoli ed in alcuni casi distruggendoli definitivamente. Tanto che oggi l’11,1% delle specie presenti in Europa sono a rischio di estinzione, secondo le stime Iucn, l'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (International Union for the Conservation of Nature), una organizzazione non governativa (ONG) internazionale con sede in Svizzera.

Specie a rischio estinzione

Gli insetti impollinatori, come le api, sono tra le specie più in pericolo a causa dell'azione umana

Stiamo parlando di un totale di 15.060 specie, di cui 1.677 attualmente a rischio. Una quota che si alza, fino a toccare quasi il 60%, nel caso degli alberi endemici europei e, nel mondo animale, per i molluschi di acqua dolce. Alcune di queste specie sono particolarmente importanti per l’equilibrio generale. È questo ad esempio il caso degli impollinatori, fondamentali per la riproduzione delle piante e conseguentemente per l’approvvigionamento alimentare, e da cui, secondo la Fao, dipende circa il 75% di tutte le colture alimentari del globo. Oggi, le specie di questo tipo risultano a rischio in gran parte del continente.

Ecosistemi in pericolo

Come evidenziato dalla Convention on biological diversity, l'aspetto che deve preoccuparci non è tuttavia tanto la scomparsa di alcune specie individuali: a essere veramente dannoso è il danneggiamento degli ecosistemi che ospitano le specie, che nel lungo termine inevitabilmente le mette a rischio. Come ad esempio nel caso della barriera corallina. A fronte di questi dati, nonostante il fatto che tutelare la biodiversità sia stato identificato come uno dei punti chiave dell’agenda 2030 delle Nazioni unite e ne costituisca uno dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, colpisce il fatto che i meccanismi internazionali di protezione stentino a decollare. Rispetto al 2013, infatti, nel 2020 in Ue la superficie terrestre protetta è aumentata di appena 4mila kmq, passando da un filare complessiva di 760mila a una di 764mila kmq. Un aumento quindi pari allo 0,5%. Un andamento simile e anzi leggermente inferiore lo ha registrato l'Italia (+0,3%).
Ricercatore barriera corallina

Un ricercatore studia una colonia sulla Grande Barriera Corallina

Va meglio per quanto riguarda la superficie marina: la quota protetta da Natura 2000 è aumentata di circa l'85% in questo stesso lasso di tempo. In Italia poi l'incremento è stato anche superiore alla media, attestandosi a circa il 219%. In particolare, nel 2019, erano 39 le aree marine protette nel nostro paese, per un totale di oltre 307mila kmq. Ad averne il numero più elevato erano la Sardegna e la Sicilia (7 l'una). L'estensione maggiore la registrava la Sardegna, con circa 90mila kmq di aree protette.

La coscienza del pericolo soprattutto tra i giovani

Giornata della terra-giovani

I più giovani da anni sono impegnati in una battaglia per la difesa del loro futuro dal cambiamento climatico e dai suoi effetti

Per fortuna tra gli europei sta aumentando la coscienza del pericolo che comporta la distruzione degli habitat naturali e l’impoverimento della biodiversità. Secondo le rilevazioni Istat, 25,7% degli italiani si dichiara preoccupato, stato d’animo che è diffuso soprattutto tra le fasce più giovani, generalmente più consapevoli delle problematiche ambientali e più mobilitati, al punto che più di 1 adolescente su 3 è preoccupato per la perdita di biodiversità. Il dato è stato pubblicato nell’indagine 'aspetti della vita quotidiana', una rilevazione di cadenza annuale. Le quote di persone che si dichiarano preoccupate varia dal 34,6% nel caso degli adolescenti, di età compresa tra i 14 e i 19 anni, al 16,7% nel caso delle persone di più di 75 anni. In tutti i casi comunque si è registrato un considerevole aumento nel 2021 rispetto al 2016, il primo anno in cui è stata fatta questa rilevazione.