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Come sta il nostro Pianeta? “Non bene, ma se la caverà. Ma non lasciamo soli i giovani a lottare”

L’invito di Nicola Nurra, naturalista, biologo marino, operatore scientifico subacqueo e professore di biologia marina all’Università degli Studi di Torino che su queste tematiche nota come “la scienza indichi fragilità e soluzioni che la politica sistematicamente disattende”

di ANDREA MUCCI -
3 marzo 2024
I giovani sono in prima linea per il futuro del Pianeta

I giovani sono in prima linea per il futuro del Pianeta

Come sta oggi la Terra? È la domanda che abbiamo posto a Nicola Nurra, biologo marino e professore all'Università degli Studi di Torino, naturalista da sempre impegnato nello studio e nella tutela degli ecosistemi marini e terrestri, che porta avanti il suo impegno anche attraverso la sensibilizzazione nelle scuole.

Lei ha definito ‘Plasticene’ questa nostra epoca in cui la plastica minaccia la sopravvivenza delle specie viventi, e il clima è alterato dalle attività umane. Qual è l’attuale condizione del nostro pianeta?

“Una breve premessa. Plasticene più che un’epoca in senso geologico potrebbe essere meglio definita un’età. Così come gli esseri umani, nel corso della storia, hanno attraversato periodi caratterizzati dall’utilizzo prevalente di un solo materiale tale da poter definire un’età della pietra, del ferro o del bronzo, allo stesso modo gli ultimi settanta anni sono stati segnati dalla presenza di un manufatto che ha ridefinito molte abitudini umane quotidiane e ha permesso all’Homo sapiens sapiens un salto tecnologico inimmaginabile prima della sua invenzione: la plastica. Per tale ragione ho definito questa nostra età Plasticene.

La salute della Terra, degli ecosistemi terrestri e marini, è in una fase alquanto delicata della sua evoluzione. Sono circa 5,8 miliardi di anni che il pianeta è un vero e proprio laboratorio del cambiamento, ma qualcosa nell’ultimo secolo e mezzo sembra essere cambiata in modo significativo. Ciò che desta maggiore preoccupazione è la rapida trasformazione di alcune dinamiche fisiche, chimiche e biologiche che regolano gli equilibri planetari e la vita sulla Terra. Negli ultimi 150 anni, per la pressione che gli esseri umani esercitano su tali processi, alcuni fenomeni hanno subito un’accelerazione che non ha precedenti”.

Nicola Nurra
Nicola Nurra

I fenomeni che preoccupano 

Nurra ne cita alcuni, come il processo di riscaldamento progressivo dell’atmosfera, i fenomeni meteorologici estremi sempre più intensi, le ondate di calore estive. “Questo tipo di pressioni sull’ambiente che gli anglosassoni chiamano driving forces (forze trainanti) – precisa –costringono il pianeta a ricercare un nuovo equilibrio”.

Tra queste forze il professore evidenzia il già citato riscaldamento globale, fenomeno fisico accelerato dalle crescenti emissioni di CO2 di natura antropica, le cui basi fisiche non possono essere messe in discussione, come alcune posizioni negazioniste vorrebbero fare. Si fa notare che all’aumento di anidride carbonica in atmosfera sono legati anche due effetti chimici a livello degli oceani: la progressiva acidificazione delle acque che mette a rischio migliaia, se non milioni, di specie animali con scheletri calcificati (molluschi e crostacei per esempio), e la deossigenazione degli strati più profondi della colonna d’acqua, che rende alcune porzioni degli oceani delle vere e proprie dead zone, costringendo milioni di organismi a migrare in aree anche molto distanti dai luoghi di origine.

Tra le numerose forzanti che agiscono sul pianeta il biologo marino cita anche “la perdita e il consumo di suolo derivato da una pressione demografica umana via via crescente, con la necessità di trovare nuovi spazi da destinare a città, allevamenti, agricoltura intensiva e a cui è collegata la perdita di biodiversità”.

Ad agire poi sulle dinamiche planetarie non può mancare, per il naturalista, l’aspetto legato all’inquinamento di tipo chimico, nel quale rientra anche l’uso indiscriminato di polimeri plastici che hanno invaso gli habitat terrestri e marini: “Frammenti e resti di plastica sono ormai distribuiti in uno spazio di oltre ventimila metri di dislivello, dalle profondità delle fosse oceaniche, fino alla vetta dell’Everest. Il fenomeno dell’inquinamento da plastiche ha raggiunto livelli di criticità tali da destare preoccupazione anche per la salute umana”.

Prospettive future

Ecosistema marino a rischio
Ecosistema marino a rischio

La Terra se la caverà?

“È un pianeta che non gode di ottima salute, ma che senza dubbio se la caverà, ricercando nuove dinamiche e nuovi equilibri come la sua stessa storia ci insegna: attuando strategie di mitigazione, differenti approcci al consumo e allo sfruttamento delle risorse”.

Da biologo marino nonché presidente e fondatore di una cooperativa che si occupa di monitoraggio delle aree marine e di didattica nelle scuole, pensa che sia ancora possibile educare i giovani al rispetto del pianeta e di ogni sua creatura?

“Non solo lo ritengo possibile ma lo considero un mandato fondamentale per tutti coloro che si occupano, per lavoro o per passione, di ambiente, di scienza, in una sola parola di futuro. La cooperativa ‘Pelagosphera’, di cui sono presidente da oltre 14 anni, ha questa missione. In questi anni di intensa attività incontrando migliaia di giovani abbiamo percepito un cambiamento e maggiore consapevolezza verso certe tematiche”.

È evidente che ai giovani interessa l’ambiente e il suo e loro futuro: non hanno però paura di combattere da soli?

“La sensazione è che le generazioni che li precedono si siano affrancate dalla responsabilità di proporre soluzioni a fenomeni che hanno determinato attraverso scellerati stili di vita. È un grave errore. Continuo a confrontarmi con molti ragazzi desiderosi di affrontare nuove sfide, sono nati numerosi movimenti di attivisti che hanno il merito di aver acceso un faro sulle questioni legate alla crisi climatica, sulle responsabilità della politica e che ci costringono a misurarci con temi che ormai fanno parte della quotidianità, con scenari nuovi di instabilità e fragilità differenti da quelli vissuti dalle generazioni precedenti. Ripeto, non lasciamoli soli di fronte a queste sfide”.

In una società del consumismo come la nostra quali sono le pratiche quotidiane più immediate e necessarie che ognuno di noi può adottare per ‘frenare’ l’inquinamento e salvare l'ambiente da ulteriori danni?

“Herbert Marcuse, celebre filosofo del Novecento, definiva l’età contemporanea il tempo nel quale gli esseri umani hanno perfezionato l’arte dello spreco, del consumo, del bisogno indotto. Potremo dire che, da allora, questa ‘arte’ si sia addirittura affinata, costringendoci a fare i conti con un sistema Terra fortemente instabile. Ciononostante, la nascita di una coscienza ambientale e una crescita continua in termini di consapevolezza ha permesso ai cittadini di adottare comportamenti virtuosi e pratiche quotidiane che hanno, sempre di più, un basso impatto sull’ambiente”.

La Terra non gode di buona salute
La Terra non gode di buona salute

L’attenzione all’ambiente non è solo la scelta di un cittadino diligente: esistono convenzioni, norme comunitarie, leggi dello Stato…

“Credo però che non sia sufficiente. Se ormai molti tra noi considerano la raccolta differenziata una sorta di abitudine nel trattamento dei rifiuti, proprio come il gesto di allacciare una cintura di sicurezza in automobile, lo stesso comportamento virtuoso non è sempre adottato dai decisori politici quando si trattano questioni ambientali o legate all’attuale crisi climatica. È a questo livello che si fa la differenza. La scienza del clima e non solo hanno tracciato una strada da percorrere basata su solide basi scientifiche, indicando fragilità e suggerendo soluzioni che la politica sistematicamente disattende".

Quali sono allora, a livello decisionale le soluzioni per mitigare gli effetti di una crisi climatica senza precedenti?

“Per il biologo marino la più incisiva riguarda l’approccio economico: “sarebbe auspicabile per esempio a livello politico disincentivare gli investimenti nel settore delle fonti non rinnovabili. Mi rivolgo in particolare agli istituti bancari che, nonostante tutto continuano a investire, finanziando le grandi multinazionali del fossile, su petrolio, gas e carbone. Una politica ferma e decisa verso la definitiva decarbonizzazione è l’opzione sulla quale puntare, non per ‘salvare il pianeta’, ma per renderlo più vivibile per la nostra specie. Investire sulle fonti rinnovabili e destinare ad esse grandi investimenti è a mio avviso il percorso alternativo più interessante, sia dal punto di vista ambientale, sia dal punto di vista tecnologico e consente di immaginare grandi opportunità di sviluppo e di lavoro per il futuro. Sono scelte epocali, mi rendo conto, ma temo non più procrastinabili”.