In Africa una grande muraglia di alberi contro la desertificazione

Lunga 8mila chilometri e larga quindici, è l'idea nata nel 2005 che sta mettendo radici in Africa: ad oggi, però, è stato piantato solo il 20% degli alberi

di DOMENICO GUARINO -
11 settembre 2023
Grande muraglia verde in Africa

Grande muraglia verde in Africa

Una Grande Muraglia verde per combattere la desertificazione. E’ il faraonico progetto che si sta realizzando, non senza difficoltà e scetticismi, in Africa, più precisamente nel Sahel, l’area che va dal Mar Rosso all’Oceano Atlantico a ovest, stretta tra il deserto del Sahara e la savana.

Qui, nel Novecento, il deserto si è espanso sempre di più, il  terreno è diventato sabbioso, e molta vegetazione è scomparsa, a causa della scarsità di precipitazioni, della siccità, della presenza degli alisei, nonché dell’assenza di ostacoli naturali, e per effetto, come sempre, delle attività eccessivamente invasive praticate dall’uomo.

Com'è nata l'idea della Grande muraglia verde in Africa

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Olusegun Obasanjo, ex presidente della Nigeria dal 1999 al 2007

L’idea della Grande Muraglia fu proposta ufficialmente nel 2005 dall’ex presidente nigeriano Olusegun Obasanjo, proprio per porre rimedio a tutto ciò. Una cintura di alberi e vegetazione che corra per 8 mila chilometri, con una larghezza di 15, attraversando 11 Paesi (Senegal, Gibuti, Eritrea, Etiopia, Sudan, Ciad, Niger, Nigeria, Mali, Burkina Faso e Mauritania).

Il progetto è stato lanciato nel 2007 dall’Unione Africana, sostenuto fin da subito dall’Onu, finanziato dalla Banca Mondiale e da altre organizzazioni locali e internazionali, per un totale di circa tre miliardi di dollari.

L’intero progetto costerebbe 33 miliardi di dollari, e l’obiettivo è portare a termine i lavori entro il 2030. I lavori, iniziati nel 2008, vedono particolarmente attivo  il Senegal, che ha piantato una quantità notevole di alberi lungo una striscia di più di 530 chilometri, a nord del Paese, con un costo di 6 milioni di dollari.

I dati dell'Onu: due terzi delle terre coltivabili persi entro il 2025

Un sogno? Partiamo dal fatto che, secondo l’Onu, entro il 2025, due terzi delle terre coltivabili africane potrebbero andare incontro ad un processo di desertificazione. Ciò comprometterebbe gravemente la vita delle popolazioni che vivono lungo la prima fascia di terre subsahariane, che stanno già sperimentando le prime conseguenze dell’avanzamento del deserto a sud dell’Africa.

Qualcosa dunque è necessario fare. Come? La Grande Muraglia Verde si propone non solo come un progetto ambientalista, ma anche come una grande opportunità di sostegno per le economie degli stati coinvolti e per le comunità locali interessate.

Il progetto dell’Unione Africana, che conta anche sul supporto della FAO e dell’Unione Europea, intende essere una risposta a tutto ciò. Per costruirla sono stati selezionati alberi capaci di sopravvivere e anzi di crescere in condizioni estreme, selezionandoli tra le specie già presenti nelle aree tra deserto e Sahel.

Le specie di piante scelte

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Baobab, tra le specie più resistenti

Si parte ovviamente dal Baobab, pianta mitica di queste regioni, capace di crescere in ambienti siccitosi, dal quale per altro si possono raccogliere frutti la cui polpa è un ottimo ricostituente. C’è poi l‘Acacia tortilis raddiana, che cresce nel deserto, le cui foglie vengono usate dal popolo Saharawi come medicina.

E ancora, c’è il Rat, ovvero il combretum glutinosum, che riesce a crescere verde e rigoglioso come un albero mediterraneo anche di fronte al deserto.

Ovviamente le difficoltà non mancano. Far crescere piante non native in zone desertiche non è semplice, innanzitutto. E poi bisogna tener conto dell’instabilità politica di questi Paesi che potrebbe compromettere la riuscita del progetto stesso. Senza dimenticare il non semplice coinvolgimento delle popolazioni locali, che continuano a far pascolare il bestiame laddove stanno crescendo i nuovi alberi.

Le opposizioni al progetto

C’è anche chi sostiene che quello della Grande Muraglia oltre ad essere un progetto faraonico, è anche pericoloso. Secondo Peter Fabricius, consulente dell’Institute of Security Studies il deserto non è necessariamente un male, anzi rappresenta  un “ecosistema vitale e prezioso”.

Senza contare che all’origine della desertificazione non vi sarebbe l’avanzamento della sabbia del Sahara, ma l’eccessivo sfruttamento del suolo da parte della popolazione, alle scarse precipitazioni e a pratiche agricole sbagliate.

In ogni caso,  il progetto va avanti sia pure lentamente. Attualmente è stato piantato solo circa il 20% di alberi e, se si vuol vedere la Great Green Wall completa entro il 2030, è necessario accelerare i lavori.

Come ha spiegato a Wired il presidente della Cop15 sulla desertificazione Alain-Richard Donwahi: “Dobbiamo trovare più risorse, più fondi e destinarli ai progetti giusti. Abbiamo anche bisogno che i Paesi coinvolti inseriscano questa iniziativa nei loro piani di sviluppo nazionali e nei loro bilanci annuali, in modo che i fondi siano dedicati a far progredire la Grande Muraglia Verde e a sostenere le comunità”.