Michele è nato con un'
eredo degenerazione retinico-maculare. Da bimbo vedeva poco, ma abbastanza per tirare due calci ad un pallone in cortile con il fratello Vincenzo. Mamma Elisabetta e papà Rosario non l’hanno
mai fatto sentire diverso dagli altri e hanno assecondato le vocazioni del figlio naturalmente. "Ti piace studiare? Chi lo ha detto che non puoi farlo!?" questo era il ritornello che si ripeteva a casa. "La mia famiglia invece di chiudermi dentro una campana di vetro mi ha fatto
sempre provare tutto – racconta Michele Mele -. Il pietismo e l’autocommiserazione dai primi anni di vita crea disastri". E anche il pregiudizio che allontana tanti ciechi e ipovedenti dalle discipline scientifiche è una forma di
pietismo. Alle elementari Michele
rinuncia all'insegnante di sostegno perché ha sempre pensato di potercela fare da solo. E così è stato.
Pregiudizi e scoperte
Ma al liceo alcuni insegnati non la pensavano così. “L’insegnante di matematica e fisica era convinto che io non potessi capire la matematica. All’epoca usavo un video-ingranditore e chiaramente questo mi penalizzava perché potevo vedere solo una piccola porzione di foglio alla volta. Così
ho imparato a lavorare a mente. Questo mio metodo non veniva capito perché non veniva ritenuto quello giusto”. Ma con una mamma insegnate di fisica e un bisnonno che fa i calcoli a mente più veloce della calcolatrice del salumiere, c’è da pensare che forse la
matematica era, in parte, conseguenza del suo corredo genetico. L’altra parte è legata alla sua costante necessità di
geometrizzare lo spazio intorno a se,
calcolando rischi e pericoli, per ottimizzare gli spostamenti. "Da piccolo mi lanciavo in varie avventure,
giocavo con gli altri bambini. Come tutti. Chiaramente per spostarmi dovevo calcolare il percorso migliore per me. Angoli, distanze e rischi. A volte conviene fare una strada più lunga ma con meno attraversamenti" racconta il matematico salernitano. Molti anni dopo quell’abilità torna utile. “Quando ho inserito l’esame di ricerca operativa, che poi è diventata la mia materia, mi sono reso conto che quello che fa l’ottimizzazione combinatoria è quello che io facevo da sempre.
L’ottimizzazione di un percorso, delle risorse, della locazione degli oggetti per trovarli e utilizzarli meglio. In fondo anche questo ha avuto un impatto".
La matematica applicata alla vita reale
Michele con il suo libro, "L'Universo tra le dita", che racconta le storie di dieci straordinari scienziati ciechi o ipovedenti
A 23 anni la vista peggiora con l’insorgere di una
nuova patologia, proprio mentre Mele sta completando gli ultimi esami del corso di laurea magistrale in matematica all’Università degli Studi di Salerno. Eppure neanche questo provoca una battuta d’arresto. Ottiene un
dottorato di ricerca alla Federico II di Napoli ed ora
lavora come ricercatore all’Università degli Studi del Sannio di Benevento, occupandosi proprio di Ottimizzazione Combinatoria, un ramo della matematica che si propone di creare modelli ed algoritmi per
risolvere problemi del mondo reale, generalmente legati all’impiego di risorse materiali, umane e di tempo. Il ricercatore è il primo a proporre un modello e un
algoritmo per semplificare i servizi di assistenza per persone con bisogni speciali negli aeroporti internazionali. Un problema molto complesso. Ma non finisce qui. Nel 2020 inizia a collaborare con enti come il British Museum e la University of Cambridge, per scandagliare vecchi documenti e testimonianze sulle
vite e sulle imprese, scientifiche e non, degli
scienziati ipovedenti o ciechi del passato.
Vite straordinarie... al buio
Raccoglie dieci storie, sei di personaggi del passato e quattro viventi, in un saggio divulgativo intitolato "
L’Universo tra le Dita", pubblicato da Edizioni Efesto nel 2021 e già alla quarta ristampa. “L’avresti mai detto che il primo ingegnere della storia che si è specializzato nella costruzione di strade è stato un non vedente, autodidatta, vissuto 100 anni prima di Breil?” incalza Mele. Questo libro ha vinto vari riconoscimenti fra cui il Premio Letterario Internazionale Città di Cattolica. “Non mi sarei mai immaginato che su 2000 partecipanti potessi vincere questo oscar della letteratura - spiega Michele -. In fondo, quando ho scritto questo libro mi sono detto che ne sarebbe valsa la pena anche solo per
cambiare il pensiero di una sola persona. Non pensavo di arrivare alla quarta ristampa. Tanti ragazzi ipovedenti o non vedenti mi raccontano che hanno ripreso l’università perché il mio libro ha dato loro il coraggio di tornarci”.
Dieci storie interessanti quelle raccolte nel libro di questo giovane matematico salernitano. Eppure, a sgretolare i pregiudizi, basterebbe raccontare già solo la sua.