Nel cervello le radici della bellezza. Dostoevskij aveva intuito in lei già nell’Ottocento una forza quasi taumaturgica, che lo portò a scrivere a chiare lettere: “
La bellezza salverà il mondo”. Ma solo in tempi recentissimi si è capito che essa non sarebbe un concetto astratto, ma affonderebbe le sue radici nel
cervello, in particolare nell'area specializzata nell'elaborare le emozioni. È questa la teoria di
Semir Zeki, dell'University College London e padre della neuroestetica, la disciplina che unisce le neuroscienze cognitive all'estetica. L'esperto espose qualche anno fa le sue tesi anche a Trieste nel corso di una conferenza.
Nel cervello ci sono le radici del bello
Nel cervello le radici della bellezza
"
La neurobiologia della bellezza". Questo era il titolo dell’evento nella quale Semir Zeki spiegò in che modo "la neurobiologia permette di indagare i
meccanismi cerebrali responsabili di ciò che proviamo osservando uno splendido quadro, ascoltando una musica appassionante o anche in situazioni più raffinate, come succede ai matematici, davanti al piacere estetico di formule e teoremi". Sono domande aperte da moltissimo tempo e, disse: “Solo 10 anni fa si avanzavano le teorie più disparate. Alcune tra queste sostenevano un coinvolgimento dell'intero cervello, altre associavano all'emozione estetica aree diverse, altre ancora parlavano della 'beltà' come una questione scientificamente non affrontabile. Nessuna è risultata esatta".
Il professore Semir Zeki dell'University College London e padre della neuroestetica (Wikipedia)
Secondo Zeki "la bellezza si accompagna sempre
all'attività neurale di una specifica parte del cervello deputata all'elaborazione delle emozioni che si chiama field A1 e si trova nella corteccia orbito frontale mediale (mOFC)". Questa attività è anche quantificabile. "Più intensa è l'esperienza del bello, più intensa sarà l'attività registrata nell'mOFC" secondo Zeki. Obiettivo di queste ricerche non è, naturalmente, dare una definizione della bellezza, ma "capire qualcosa di più su
come funziona il cervello".
"La vita ti fa bello"
Dopo queste premesse si fa un passo avanti e si arriva al concetto secondo il quale la vita stessa progredisce seguendo il bello. "È una evoluzione che possiamo leggere nella teoria di Darwin. La
selezione sessuale, per esempio, è una delle grandi intuizioni avute dal biologo britannico" dice
Enrico Grassi, coordinatore nazionale del gruppo di studio Neuroscienze del comportamento della
SNO (Società dei Neurologi Neurochirurghi Neuroradiologi Ospedalieri italiani) e SOC Neurologia dell'Ospedale di Prato.
Enrico Grassi, coordinatore nazionale del gruppo di studio Neuroscienze del comportamento della SNO (Società dei Neurologi Neurochirurghi Neuroradiologi Ospedalieri italiani)
"Nella specie animale
è la femmina che sceglie i parametri del bello del maschio, è lei che sceglie con chi vuole procreare e portare avanti la specie. Ed è una scelta che segue canoni estetici, che sono anche parametri in grado di valutare lo stato di salute del maschio e quindi della trasmissione dei geni" prosegue Grassi, che parlerà proprio della magnificenza della musica nella cura, al congresso SNO in programma a Firenze dal 27 al 30 settembre.
Il circuito dopaminergico
"Il bello, a livello scientifico, attiva
un circuito dopaminergico attraverso stimoli molto diversi. Per esempio, si può attivare facendo uso di cocaina; per una vincita alla lotteria, con l'ascolto di un brano musicale, dinanzi una bella persona o con l'atto sessuale" spiega il neuroscienziato Enrico Grassi. "Tutte queste esperienze, molto diverse tra loro, inducono una liberazione di
dopamina, essendo stimoli che confluiscono tutti sullo stesso circuito neuronale" aggiunge.
In uno studio diventato molto famoso di Semir Zeki, i ricercatori facevano vedere delle opere d'arte ai soggetti sottoposti all'esperimento
"In uno studio diventato molto famoso di Semir Zeki, uno dei padri della neuro estetica, professore di neurobiologia alla University College di Londra, i ricercatori facevano vedere delle
opere d'arte ai soggetti sottoposti all'esperimento" ricorda Grassi. E aggiunge: "Dalle analisi si evinceva che il 'bello' stimola un'area del cervello, più precisamente la corteccia mediale orbito frontale. Le cortecce prefrontali sono la parte del cervello che probabilmente ci differenza di più dai primati e che si sono maggiormente sviluppate nell'uomo durante la nostra evoluzione". "Questa gratificazione generata davanti al bello è anche uno dei
motori motivazionali che ha spinto l'umanità per secoli. Esiste, quindi, una
bellezza oggettiva e abbiamo un sistema nervoso centrale evoluto per riconoscerla" dice ancora il neuroscienziato.
Esiste il bello oggettivo riconoscibile dal nostro cervello ed esiste parallelamente una evoluzione culturale che può far variare alcuni parametri estetici
La domanda classica della filosofia degli ultimi millenni: il bello è nel mondo o nella mente di chi guarda? "È sicuramente una domanda mal posta perché il cervello si è co-evoluto ed è stato plasmato dal mondo esterno" prosegue Grassi. "Esiste quindi il bello oggettivo riconoscibile dal nostro cervello ed esiste parallelamente una evoluzione culturale che può far variare alcuni parametri estetici” sostiene l'esperto.
Il bello in natura e nella scienza
"Siamo abituati a riconoscere il bello
nella natura. Il fiore, per esempio, ha evoluto la sua magnificenza per attirare sempre meglio gli insetti e gli insetti si sono co-evoluti per riconoscere i fiori come belli" sostiene il neuroscienziato Enrico Grassi. "Ma la domanda giusta è: perché il bello di un fiore attrae anche gli esseri umani, di qualsiasi cultura? Esiste nella magnificenza un ordine e una struttura e si tratta di una scoperta avvenuta ai tempi degli antichi Greci" prosegue ancora l'esperto. Platone diceva che bellezza più perfetta è quella matematica. "E questo ci fa pensare alla proporzione aurea, che secondi alcuni teorici, è segno della
bellezza assoluta. Esiste a riguardo uno studio del gruppo di Parma che sfruttava la proporzione aurea presente nelle misure della scultura del Dorifero di Policleto. L'immagine attivava il circuito dopaminergico, che si spegneva quando si alteravano artificiosamente le proporzioni originali tra le varie parti della statua" spiega.
Platone diceva che bellezza più perfetta è quella matematica
E nella scienza,
esiste il bello? "In uno studio di Semir Zeki si è osservata la reazione dei matematici davanti delle equazioni matematiche, scoprendo che si attivano gli stessi circuiti dopaminergici innescati alla bellezza artistica e naturale" va avanti l'esperto. "Oggi possiamo dire che i grandi fisici e matematici dell'800 e 900 hanno riconosciuto e sperimentato questa idea di bello addirittura come criterio di verità. Uno dei più grandi geni del Novecento, il fisico Paul A.M. Dirac, ha definito il bello come
metodo matematico, sottolineando che 'è più importante che le equazioni siano belle piuttosto che in accordo con gli esperimenti'. La sua equazione '(? + m) ? = 0' è ancora considerata la più bella della fisica: descrive ogni elettrone mai esistito e che mai esisterà nell'universo" le parole di Grassi. "Da questa premessa - continua - ancora oggi possiamo ricordare un altro pensiero di Dirac, ossia che il ricercatore, nel suo sforzo di esprimere matematicamente le leggi fondamentali della natura, deve mirare soprattutto alla
bellezza matematica".
L'esperto: "Esiste una bellezza nella natura che cura: stare in un ambiente naturale e sano porta ad un benessere generale della specie"
Neuro estetica e cura
Esiste una bellezza nella natura che cura? Secondo il neuroscienziato Enrico Grassi "stare in un ambiente naturale e sano porta a un
benessere generale della specie". In uno studio degli anni Ottanta, pubblicato su "Science", si è analizzato il decorso post operatorio tra pazienti colecistectomizzati a seconda di come erano posizionati nell'ospedale i letti di degenza. "I soggetti che avevano il letto rivolto verso le finestre, con vista sul parco circostante, avevano
un minor tempo di degenza e un minor utilizzo di antidolorifici rispetto ai pazienti il cui letto era rivolto verso il muro a parità di intervento chirurgico" dice ancora l'esperto.
La musica ha un impiego importante in tutte le malattie neurodegenerative (Ansa)
E aggiunge: "La musica, parallelamente, ha un impiego importante in tutte le
malattie neurodegenerative. Il nostro sistema centrale ha una predisposizione naturale verso il
linguaggio musicale. È profondamente legato alla sfera delle emozioni e può bypassare il sistema cognitivo" sostiene Grassi. La musica ha anche un legame con il movimento. "L'ascolto della musica va direttamente sulle strutture che fanno un ruolo centrale per il movimento, anche nei
pazienti con difficoltà motorie. Esistono studi che hanno visto una riattivazione di alcuni circuiti neurali grazie alla musica, usata come passe-partout per riattivare il movimento" dichiara il neuroscienziato.
Realtà digitale: il rischio dell’omologazione della bellezza
Nel tentativo di omologare il bello, la
realtà digitale che ruolo ha? Per il neuroscienziato Enrico Grassi "esiste un nocciolo duro per quanto riguarda la bellezza, che è il bello oggettivo nell'arte, nella musica, nel cibo, nella natura che il nostro sistema nervoso centrale è abituato a riconoscere". Esiste poi "un'omologazione dei paradigmi estetici, che fa parte della globalizzazione. Siamo sottoposti a stimoli sempre più uniformi. Questi standard estetici che si vanno a uniformare, sia nel mondo orientale che occidentale, fanno tendere verso
una magnificenza sempre più omogenea. Ma bisogna ricordare che la bellezza del volto è anche un criterio di salute del partner".
L'esperto: "Una ricerca compulsiva di una bellezza omologata genera anche una idea di insano"
Questo "appiattimento" non deve far dimenticare però "il concetto di salute e benessere, che sono anche gli stimoli nella ricerca di un partner con il quale procreare" prosegue l'esperto. "Una ricerca compulsiva di una bellezza omologata che degenera in un abuso del concetto stesso di bello, genera anche una idea di insano, che allontana dalla stessa idea di bellezza" dice. Al fine di spiegare al meglio questo concetto, il neuroscienziato ricorda un esperimento fatto da Fancis Dalton. "Egli prese tante foto e si rese conto che fondendole insieme, la faccia composita risultava più attenente delle singole facce. Questo esperimento si è prestato a più interpretazioni" sostiene. "Oggi vorrei dire che una maggior combinazione genetica
con incrocio di popoli e culture diverse significa maggior salute, e quindi anche una maggior bellezza: un ammonimento che ci dovrebbe guidare anche su politiche socio-ambientali più illuminate" conclude.