Il Museo Tattile Statale Omero di Ancona è conosciuto a livello internazionale in quanto al suo interno il visitatore riesce “ad accarezzare ciò che è bello”. Questo museo per tutti, infatti, dando l’occasione di poter ‘toccare’ l’arte in una struttura senza barriere che coinvolge chiunque vada a goderne, accoglie l’individuo considerandolo Persona a prescindere dalla sua condizione e svolge iniziative sul tema dell’accessibilità. Ma com’è nato? E quale la filosofia che ne porta avanti l’operato? Per scoprirlo abbiamo sentito Aldo Grassini, presidente e fondatore assieme alla moglie di questa preziosa struttura.
Presidente, lei e sua moglie siete i fondatori di questo museo. Ci racconta la storia, la motivazione e gli obiettivi che stanno alla base di questa idea? “Noi non avevamo mai pensato a una cosa del genere. Mia moglie ed io amiamo molto viaggiare e nei nostri viaggi ci imbattiamo sempre, soprattutto nei musei, contro i divieti di toccare e se ad cieco vieti di toccare è come se a un vedente vietassi di vedere… .” Le persone non vedenti ‘vedono’ con le mani. “Dobbiamo pensare che la forma fisica si percepisce soltanto con la vista o con il tatto, non ci sono altre possibilità per percepirla. Se a chi non ha la vista togli anche la possibilità di usare il tatto, lo escludi da un diritto riconosciuto, sancito, proclamato, che vale per tutti e che però, di fatto, quando ti trovi di fronte a queste situazioni non è spendibile, non può essere esercitato. Nel 1985 mia moglie ed io eravamo stati a fare un viaggio in Germania, ad Augsburg e lì, visitando alcuni musei sempre con questo divieto, frustrati e delusi, tornati a casa abbiamo avuto l’idea di mettere insieme le riproduzioni dei grandi capolavori dell’arte per dare la possibilità anche ai ciechi di conoscerli.”
E da qui? “Ci sono voluti otto anni per far nascere il museo - dato che si doveva creare da zero - di lavoro, di fatica per andare a convincere gli amministratori, anche di fronte a tanto scetticismo, perché un centro simile non esisteva da nessuna parte.” Quando, con sua moglie, parlavate dell’idea agli amministratori, in un primo momento questi l’approvavano, ma poi chiedevano a cosa ci si potesse ispirare e si scopriva che una struttura simile ancora non era stata creata in Italia... “Da un lato - aggiunge - questo lusingava l’amministratore perché era un elemento di novità, dall’altro però metteva paura: ‘se non c’è da nessuna parte ci sarà pure un motivo’”. "Alla sua nascita e nei primi anni di vita il museo Omero era costituito da tre aule di una scuola – ci racconta Aldo Grassini – di centocinquanta metri quadrati e conteneva diciannove pezzi. Nel tempo la struttura si è sviluppata, da centocinquanta metri quadri nel 1993, sono diventati poi settecentocinquanta nel 1997 e ci siamo trasferiti in un’altra scuola, prendendo qui tutta un’ala.” Adesso invece? “Dal 2012 abbiamo duemilasettecento metri quadri presso la mole Vanvitelliana: luogo meraviglioso, monumento storico bellissimo.” Simile ad una fortezza, costruita sul mare all’interno del porto di Ancona è uno dei capolavori dell’architetto Luigi Vanvitelli, il creatore della reggia di Caserta, di cui quest’anno ricorrono i duecentocinquanta anni dalla morte con varie celebrazioni che uniscono Caserta ed Ancona. E il presidente conclude: “abbiamo quindi la nostra bellissima sede, uno spazio che dal 1999 è stato riconosciuto Museo Statale: mi riempie di orgoglio che sia stata fatta una legge ad hoc, la 452/99 approvata all’unanimità sia alla Camera che al Senato, e non avviene spesso; anche questo un risultato non semplice, a cui abbiamo dovuto lavorare anche a livello politico. Aver avuto nel 2012 una sede bellissima e prestigiosa ha significato molto.” Questo museo vuole essere uno spazio senza barriere per tutti e non solo riservato alle persone non vedenti. “Certo.”
Si può, senza servirsi degli occhi, fruire dell’arte e condividere collettivamente questa visione del mondo? “Si che si può. Ne sono convintissimo. A condizione che la museologia, la nuova museologia accetti questa nuova sfida. Se si fanno allestimenti che sono esclusivamente visivi, in cui si può solo guardare, senza fare nient’altro, un cieco cosa ci va a fare? Se, invece, gli allestimenti sono fatti in modo da consentire a ciascuno di poter fruire di ciò che viene proposto con i mezzi che ha, si può. Al museo Omero – tiene a sottolineare il dottor Grassini – non facciamo cose speciali destinate ai non vedenti, quello che noi facciamo è destinato a tutti, a chiunque.” E spiega che nel preparare un allestimento, un laboratorio, una mostra, una qualsiasi attività del museo si tiene presente che nel mondo esistono anche le persone non vedenti e che quindi è necessario dare anche a loro la possibilità di godere pienamente degli spazi della struttura. Il fondatore del centro marchigiano desidera poi fare qualche esempio a livello pratico: “Noi, se ci sono attività di rappresentazione attraverso il disegno, aggiungiamo anche la possibilità di fare un disegno tattile, in rilievo e ognuno lo fa come può farlo. Se c’è una scritta, per esempio nelle consegne che fanno parte del laboratorio, vi è anche la consegna in braille”. Una persona con problemi di cecità che voglia visitare il museo non è necessario che avverta prima per Grassini “se ce lo dice lo aiutiamo in maniera più attenta… però – continua - sa che ciò che si fa nel nostro museo lo può sempre fare e questa è una cosa molto importante soprattutto per le scolaresche: se viene una classe nella quale si trova un bambino cieco, l’attività che si svolge si fa tutti insieme.” E sulle sensazioni che si provano nel ‘toccare’: “la tattilità ha una sua specificità: ci sono alcune percezioni che si provano soltanto attraverso il tatto” - e qui fa l’esempio di una superficie liscia con le sue innumerevoli e differenti caratteristiche – “c’è una specificità e una ricchezza di sfumature, pensiamo al piacere di toccare materiali come il legno, il bronzo o il marmo e questo è un piacere significativo, importante. A chi è abituato a guardare e si accontenta di guardare, non interessano queste altre sensazioni, ma perde qualcosa di importante: la natura ci ha dato cinque sensi per farci cogliere la realtà in cinque modi diversi che messi tutti insieme ci danno la bellezza del mondo, la bellezza della realtà.” In conclusione per il ‘padre’ del museo Omero limitandoci alle sensazioni visive rinunciamo ad innumerevoli altre possibilità offerteci dalla natura. Si dà così in questo centro spazio al valore che riconosce la Persona e tiene conto della sua esistenza come essere umano, non guardando alla condizione in cui si trova – temporaneamente o in modo permanente - a vivere. “Il fatto che dobbiamo considerare il visitatore, il fruitore, l’utente di un museo una persona è il punto di partenza ed è evidente che dobbiamo partire dalla persona perché con le persone abbiamo a che fare, a prescindere dalle loro caratteristiche. E’ strano che oggi si debba andare a ripetere un concetto come questo, quando basta prendere in mano la Costituzione Italiana o anche la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948). Quando noi parliamo di ‘diversamente abili’ – non mi piace utilizzare questa espressione un po’ barocca, anche se è profondamente vera – diciamo che ognuno ha delle capacità che può esprimere e deve esprimere e che non sono uguali per tutti.”
Ma è la normalità delle diversità. “Certo.” Oggi avete collaborazioni con molteplici realtà museali. Quali sono i progetti per promuovere la diversità e diffondere l’accessibilità? “I progetti sono tanti. Attualmente, a parte le attività che facciamo nella nostra sede, ci concentriamo soprattutto su un grosso lavoro di consulenza e per la formazione del personale a chi intenda abbattere delle barriere e quindi creare l’accessibilità per le persone non vedenti in particolare, ma anche per persone con altri tipi di disabilità. Forniamo anche materiale tiflodidattico come ad esempio riproduzioni in rilievo di dipinti, eccetera.” Quindi? “Soprattutto per quanto riguarda i disabili visivi per avere un ambiente accessibile sono fondamentalmente necessarie tre cose.” Quali? “La prima cosa, la più importante è lasciar toccare – dove possibile – gli oggetti in mostra in particolare a chi non vede. Dico laddove possibile perché chiaramente ci sono cose che non è possibile toccare, ma - afferma - mettere un cartello con scritto ‘vietato toccare’ su qualunque oggetto venga esposto è sintomo di inciviltà e in fondo anche di ignoranza: esclude a priori chiunque abbia bisogno di questo”. Per il presidente tranne eccezioni “la cosa più semplice e meno costosa è lasciar toccare gli oggetti alle persone: questo è un fatto puramente di cultura. La seconda cosa è l’accoglienza: preparare quindi il personale ad accogliere le persone disabili e in particolare i non vedenti. E per questo basta un minimo di formazione – continua l’ideatore non vedente del museo tattile - la formazione la fanno tutti i musei, ma questo aspetto viene considerato come un qualcosa a parte, una specializzazione mentre in realtà se fai la formazione questa deve andare in tutte le direzioni.” Quanto costa? “Costa pochissimo! Poi c’è la terza cosa, ossia creare alcuni strumenti che sono necessari, come per esempio le didascalie in braille.” E fa il punto: “se ciò viene affrontato già nella fase di progettazione – e questo non vale solo per i ciechi, vale per tutti i disabili – i costi non sono così elevati.” Per quale motivo? “Perché costa molto di più andare a modificare poi ciò che è già stato fatto e che non va bene. Le cose vanno fatte con criterio, con intelligenza.” E rimarca: “l’accessibilità non è un elemento in più, non è la ciliegina sulla torta: un museo deve essere accessibile. L’accessibilità deve essere una caratteristica, una qualità di un museo che vale per tutti.” E in maniera ironica racconta che nelle discussioni sul tema dell’accessibilità spesso chiede se l’impianto elettrico, ad esempio, non faccia parte delle spese comprese nel progetto per la realizzazione del museo per poi evidenziare l’eguale essenzialità dei lavori legati all’accessibilità, spesso non presi in esame. “Non è possibile realizzare un museo non accessibile per tutti: è un discorso soprattutto culturale.” Presidente Grassini, lei ha varie importantissime cariche nel mondo dell’inclusione. Come realizzare in concreto la cultura dell’accessibilità nei nostri musei e non solo? Da dove partire? “Per me è una questione di cultura. Quindi bisogna partire dalla cultura.” Come? “Bisogna far capire alle persone che quando si propone un valore forte, su questo è necessario riflettere, non si può far spallucce… E io vedo che la gente poi alla fine lo capisce. Sono convinto che buona parte dei problemi derivano dall’ignoranza, da un’indifferenza che proviene soltanto dall’ignoranza.” Ossia? “La gente non conosce la disabilità, non pensa che esista. Le cose vengono fatte per tutti e per tutti si intende la maggioranza e si pensa che questo sia il senso della democrazia, mentre questa è veramente tale quando è capace di pensare anche alle minoranze. Una maggioranza che stravolge e sottomette tutti gli altri non è la maggioranza democratica. La democrazia è anche rispetto per tutti. E la gente a volte non fa le cose semplicemente perché non ci pensa.” In conclusione il presidente del Museo Omero rimarca che l’accessibilità dipenda in primo luogo dalla cultura di un Paese, “cultura che ancora oggi ha bisogno di affermarsi”. Secondo il dottor Grassini: “E’ il concetto di bellezza che va cambiato: non può essere bella una cosa fatta per una fruizione che non sia per tutti e questo è un fatto culturale.” E il presidente per spiegarci come - a suo parere – vada cambiato il concetto di estetica fa riferimento alle numerose discussioni sorte sul Ponte di Calatrava a Venezia. Il Museo Omero nel periodo ante pandemia è arrivato ad avere trentacinquemila visitatori in un anno, di cui “la stragrande maggioranza persone vedenti.”
Perché vengono a visitare la vostra prestigiosa struttura? “Perché da noi si può accarezzare ciò che è bello e questa è una sensazione che – aggiunta alla visione – è straordinaria. Il tatto ha un’intensità affettiva molto forte. Uno dei nostri slogan è: ‘Si ama con gli occhi e con le mani’. Tutte le cose quindi e le persone che noi amiamo non ci accontentiamo di guardarle, abbiamo anche bisogno di accarezzarle. Più che il verbo ‘toccare’ quindi preferisco il verbo ‘accarezzare’: contiene veramente un’affettività così forte che emoziona.” Secondo Grassini “la nostra cultura esorcizza, rifiuta e demonizza la tattilità, ma se ci accorgiamo del suo significato “il piacere si arricchisce, diventa più profondo.” Per guardare - conclude il presidente – è necessario essere in due: un soggetto e un oggetto, oltre ad uno spazio vuoto da osservare che li allontana l’uno dall’altro. Il tatto, invece, elimina il vuoto facendo sì che il soggetto e l’oggetto diventino quasi una cosa sola. Forse è questo che da una forza particolarmente intensa anche all’emotività di questo rapporto". Al presidente non piace quando in un museo si crea un percorso tattile separato per le persone non vedenti perché per lui un cieco ha bisogno di “vivere quest’esperienza com’è normale che sia". "La vera condivisione credo sia che, quando vado con un amico o una persona cara a visitare un museo, lui o lei vedono gli oggetti, io li tocco, ma entrambi proviamo la stessa emozione - le sue parole - : se una persona non vedente si deve separare e fare un’altra strada perde quella possibilità di condivisione e di commento insieme, perde cioè un’esperienza comune preziosa".