Alla Mostra del cinema si affaccia un film sull’eutanasia. E a firmarlo è uno dei più grandi maestri del cinema mondiale, Pedro Almodovar, che presenta in concorso “The Room Next Door”, letteralmente “La stanza accanto”.
La stanza accanto, quella in cui Tilda Swinton, condannata da un cancro, ma ancora lucidissima, dorme in una bellissima casa in mezzo a un bosco, affittata per una sorta di "ultima vacanza”, insieme all’amica scrittrice Julianne Moore. “Dormirò sempre con la porta aperta”, le dice. “Quando la vedrai chiusa, sarà il segno che quella notte ho scelto di morire”.
"The Room Next Door” è il primo film girato in inglese da Almodovar. Ma il regista spagnolo non sembra avere perso niente della sua forza, della sua capacità di esplorare sentimenti e situazioni. Sul tema dell’eutanasia, Pedro – nell’incontro con i giornalisti – è più che esplicito: “In Spagna abbiamo una legge sull’eutanasia, ma dovrebbe esserci in tutto il mondo. Questo film parla della autodeterminazione, di prendere in mano la propria vita, e anche la propria morte. È la storia di una vittoria, non di una sconfitta. Ma nel film Marta, l’amica interpretata da Julianne Moore, dopo la morte di Ingrid viene interrogata e trattata come una delinquente. Non è giusto: le persone dovrebbero poter decidere della propria vita. È urgente che la legge sull’eutanasia esista in tutto il mondo. E il medico che conosce la gravità dello stato del suo paziente dovrebbe essere sufficiente per autorizzarla”.
Ambientato nel New England, "The Room Next Door” vede la seconda collaborazione fra Almodovar e Tilda Swinton, dopo il cortometraggio «The Human Voice», presentato nel 2020 proprio a Venezia. “Non ho paura della morte”, dice l’attrice britannica. “Per alcune persone, il viaggio verso l’accettazione della morte è lungo: per me è iniziato molto presto. Non ho paura della morte, e ho sostenuto i miei amici nelle loro transizioni”, dice. Forse si riferisce alla sua lunga amicizia con il regista Derek Jarman, grande protagonista del cinema britannico più rivoluzionario e ribelle degli anni ’80, e alla lunga agonia di quest’ultimo, vinto dall’Aids. Sicuramente, si riferisce a Jarman quando dice: “Ho scoperto i film di Pedro quando lavoravo con Derek, e facevamo film quasi simili: la cultura ufficiale, a Londra, ci emarginava. Ma siamo andati avanti. Pensavo che non avrei mai trovato uno spazio nel cinema di Pedro, e invece è arrivato questo dono incredibile”. Prosegue Swinton: “Riguardo al film, penso che sia un film su qualcuno che decide di prendere nelle sue mani la propria vita e la propria morte. Ed è anche una storia di amore, quell’amicizia essenziale e profonda che è la più forte forma di amore”. “Il film – dice Pedro Almodovar – è sulla empatia. È una risposta all’onda di odio che stiamo vivendo ogni giorno in Spagna e nel mondo”.