Continua la lotta di Martina Oppelli per il fine vita. L'architetta triestina di 49 anni – affetta da sclerosi multipla – ha presentato un esposto alla procura di Trieste per rifiuto di atti d'ufficio e tortura nei confronti dei medici dell'azienda sanitaria friulana, portando dunque la vicenda anche nelle sedi penali.
Oppelli, dipendente da macchinari, farmaci e assistenza continua per le sue funzioni vitali, nei giorni scorsi aveva visto nuovamente respinta la sua richiesta di assistenza per il suicidio assistito da parte dell’Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina (Asugi).
Le ragioni della denuncia
Nonostante un evidente peggioramento delle sue condizioni e un’ordinanza del Tribunale di Trieste – che secondo l'associazione imponeva una nuova valutazione medica – l'Asugi ha negato l’accesso alla morte volontaria. Questo dopo che la sentenza 135 del 2024 della Corte costituzionale ha aperto le porte al suicidio assistito in determinate condizioni, legandolo alla nozione di trattamento di sostegno vitale, all’interno della quale sono state tra l’altro inserite operazioni normalmente compiute da personale sanitario, ma anche da familiari o caregiver.
Sono considerati vitali quei trattamenti la cui interruzione può prevedibilmente causare la morte del paziente in breve tempo. Pertanto, secondo i legali della donna, anche situazioni come quella di Martina Oppelli rientrano in questa definizione dal momento che è totalmente dipendente da macchinari, farmaci e assistenza continua per le sue funzioni vitali.
Oppelli ha deciso quindi di denunciare i vertici e i medici dell’Asugi anche per il reato di tortura perché, a suo parere, i rifiuti dell’azienda sanitaria ledono la sua libertà morale e fisica di Martina, costringendola a subire e tollerare un trattamento contrario al suo senso di dignità il cui rispetto è stato espressamente sancito dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale.
Le parole di Martina Oppelli
"Quello che faccio mi costa un dolore molto grande. Il percorso verso la volontà di morire non lo fai con leggerezza, la mia è una scelta ponderata e consapevole. E anche questo esposto: è un atto dovuto, non per me ma per chi verrà dopo”.
Così, in un’intervista al Corriere della Sera, Martina Oppelli si dice “basita” di fronte alla possibilità – che le avrebbero presentato i medici – di prendere farmaci che potrebbero forse attenuare il dolore, ma che la priverebbero di lucidità.
“Mi sembra un compromesso irragionevole. Il mio cervello è lucido e deve rimanere lucido, come la mia capacità di decidere e autodeterminarmi. Io riesco a calcolare le emissioni di CO2 che produrrei con un inutile viaggio per andare in Svizzera a morire, dove per altro mi avrebbero già dato il via libera. Io posso parlarle dell'integrazione del fotovoltaico in architettura e di quanto abbia o no un ruolo per il futuro sostenibile. Sono presente a me stessa e lucida, appunto. E tale intendo rimanere. E poi posso fare un ragionamento? Hai un handicap? Prima fanno di tutto per assicurarti una vita quanto più possibile autonoma, poi, quando non ce la fai più, ti danno dei farmaci per rintronarti. È un controsenso, io voglio poter decidere della mia esistenza”.