Come “un albero di mele” che in passato dava alla gente i suoi migliori frutti e i cui rami ora “cominciano a cadere, a diventare storti, e quei rami cominciano a produrre un po' meno mele”, oggi Celine Dion si rammarica di non riuscire più a rendere al suo pubblico quei frutti di tanto sacrificio e lavoro, quelli più buoni e brillanti. Eppure “ci sono ancora tante persone in fila”, lo sa bene, lo vede nell’affetto trasmesso a ogni sua dichiarazione. La conclusione di questa metafora, quindi, è straziante: “Non voglio che facciano la fila se non ho mele”.
In uno dei tanti monologhi del documentario “I Am: Celine Dion”, diretto dalla regista candidata agli Oscar Irene Taylor e disponibile su Prime Video, la cantante canadese si paragona appunto ad a un albero di mele, mentre contempla la sua vita e la resa insufficiente del suo lavoro per il pubblico adorante.
Il tempo per la riabilitazione
Nel dicembre del 2022, dopo essere stata costretta a cancellare tutta una serie di concerti, l’icona della musica mondiale annunciò che le era stata diagnosticata la Sindrome della persona rigida, una rara malattia neurologica autoimmune caratterizzata da spasmi e rigidità muscolare, che può compromettere seriamente la qualità di vita. Da allora non si è più esibita in pubblico, continuando però a pubblicare nuove canzoni.
Il docufilm, uscito sulla piattaforma streaming il 24 giugno, immortala proprio una parte del tempo che la 56enne si è presa per la riabilitazione (all’incirca un anno prima e qualche mese dopo il suo annuncio), in cui la si è vista raramente uscire raramente di casa. Il racconto intimo, autentico, di un momento cruciale della sua vita e della sua carriera, in cui l’amarezza lascia spazio anche ad altro, alla voglia di riscatto, in una sfida personale contro la malattia per tornare quanto prima sulle scene e restituire quell’affetto che appunto non è mai mancato nei suoi confronti.
“I Am: Celine Dion”: un racconto autentico e commosso
Un ritratto di donna nel suo periodo di inattività (forzata) dalla musica, più che della superstar stessa. La vediamo giocare con i suoi tre figli (due dei quali hanno ormai 13 anni, il fratello maggiore 23) nella loro villa di Las Vegas, oppure dare da mangiare al suo cane Bear (che come si legge in una dedica nei titoli di testa, è morto tra le riprese e il lancio del documentario) o al porcellino d'India.
Vediamo anche Dion che si prepara il caffè da sola e passa l'aspirapolvere su pavimento, spesso senza trucco e con i capelli grigi, senza tinta. Quanto di più lontano, insomma, dai classici docufilm sulle star del momento: qui la vanità e l’autocelebrazione lasciano il passo all’autenticità, anche dolorosa o divertente, di chi si spoglia dei panni di icona e torna persona.
Le tracce della malattia
Per gran parte del documentario, vediamo i sottili tratti della sua malattia: come spiega Celine Dion, la Sindrome della persona rigida “non si vede” ma lascia tracce. Le dita bloccate qui, la difficoltà di deambulazione là, la perdita dell'equilibrio. Ma come la 56enne racconta e mostra agli spettatori, la SPS ha danneggiato soprattutto la voce cristallina che l'ha resa un idolo musicale per i fan in tutto il mondo, fin dal suo debutto più di 40 anni fa. In una scena spiega che la rigidità del torace rende il canto una sfida e lo dimostra con un'interpretazione soffocata e rauca di “I Wanna Know What Love Is” dei Foreigner. Dopo aver saltato una quantità di note impressionante per una cantante che per decenni è stata conosciuta come una perfezionista, Dion ammette piangendo: “È molto difficile per me mostrarvi questo”.
Una riflessione sulla invecchiamento
In un certo senso "I Am: Celine Dion” potrebbe essere visto anche come una riflessione sull'invecchiamento e su ciò che accade alle star quando le loro capacità e il loro appeal diminuiscono con il tempo, anche senza che abbiano a che fare con diagnosi di malattie rare. Per quanto tragica e debilitante, la condizione di Dion le offre un motivo per esternare molte emozioni, sentimenti e condizioni che molte celebrità spesso non ammetterebbero nemmeno di avere.
Nessuno si sogna di parlare di cosa significhi aver superato il proprio apice, ma la SPS ha costretto la cantante canadese a fare i conti proprio con questo. Il documentario diventa quindi un modo per fare chiarezza in modo molto più approfondito su quanto le è successo e non è riuscita a raccontare dopo il suo annuncio del 2022.
“Non posso più mentire”, spiega parlando delle cancellazioni dei concerti e precisando che erano dovute alle infezioni ai seni e alle orecchie, mentre cercava di capire cosa stesse succedendo alla sua salute. I sintomi della SPS l'avevano colpita per quasi due decenni prima della diagnosi. Sebbene all'inizio potessero essere nascosti con alcune mosse strategiche, alla fine hanno avuto un impatto inequivocabile sulla sua voce, costringendola ad abbandonare il palco. Almeno il tempo necessario per imparare a convivere con la malattia: recentemente infatti Celine Dion ha annunciato il prossimo ritorno alle scene.