“Ci sono sei personaggi, ognuno dei quali ha una fragilità, una ferita. Se dovessi pensare a un titolo di giornale, direi: “Sei personaggi in cerca di psicanalista“. È una storia di anime disturbate: noi la raccontiamo in chiave di commedia, ma affronta dei temi seri”. Claudio Bisio lo racconta così, Una terapia di gruppo, il film che lo vede fra i protagonisti, in uscita dopodomani in 350 sale italiane.
È un momento importante per Bisio che torna alla commedia cinematografica con questo film corale mentre è in libreria il suo primo romanzo, Il talento degli scomparsi, per Feltrinelli.
Partiamo da Una terapia di gruppo: la regia è di Paolo Costella; nel cast Valentina Lodovini, Lucia Mascino, Margherita Buy, Leo Gassman, Claudio Santamaria e Ludovica Francesconi. Il film è l’adattamento di una pièce francese di Laurent Baffie. Si parla di sindromi, di ossessioni, di disturbi ossessivi compulsivi. I pazienti arrivano tutti insieme nello studio di uno psicoanalista. E si ritrovano in anticamera, soli con se stessi e le proprie stranezze. Bisio ha la sindrome di Tourette, una serie incontrollabile di tic e di volgarità irrefrenabili; Valentina Lodovini è ossessionata dall’igiene, risultato di un trauma a sfondo sessuale subìto; Margherita Buy è ossessionata dalle dimenticanze, teme di aver sempre lasciato aperto il gas. E così via.
Bisio, come ha affrontato la costruzione del suo personaggio, affetto dalla sindrome di Tourette?
“Ho sentito una grande responsabilità. Dovevo trovare l’equilibrio fra la comicità che il personaggio può creare e la drammaticità della patologia. Ho guardato su Youtube molti video: in uno c’era una signora che ogni dieci secondi, senza potersi trattenere, diceva “merdazza!“. E per lei tutto ciò era drammatico. Ho incontrato questa signora, così come la figlia di un mio carissimo amico, che ha vent’anni ed è ugualmente affetta dalla sindrome di Tourette”.
Che cosa le ha detto questa ragazza?
“Mi ha incoraggiato a rappresentare questa patologia. Mi ha detto: “la cosa che ci dà più fastidio è quando la gente fa finta di niente“”.
Lei personalmente ha delle ossessioni, delle abitudini compulsive?
“Sì, certo, come tutti. Io ho l’ossessione di non calpestare le righe per strada: una cosa innocua, ma se dovesse accentuarsi diventerebbe un problema. Credo che tutti noi viviamo, in maniera più o meno marcata, delle ossessioni. L’importante è parlarne”.
Nel film non si ride “dei” personaggi, ma “con” loro.
“Esattamente. Il vero guaio non è la malattia, ma la vergogna, lo stigma che certe sindromi si portano dietro. Sono malattie che limitano i rapporti umani: bisogna fare in modo che non accada. E questa commedia sta dalla parte dei personaggi e delle loro fragilità”.
Come sono state le riprese? Quali ostacoli avete affrontato?
“Non è stata proprio una terapia di gruppo, ma un lavoro di gruppo sì. Ci siamo ritrovati per lunghe ore insieme. D’estate. A quaranta gradi all’ombra. Senza pinguino, perché il rumore disturbava le riprese. Ho consumato centinaia di camicie!”.
Passiamo al suo romanzo, Di che cosa parla Il talento degli scomparsi?
“Incrocia due storie, quella di Marco, attore famoso sul viale del tramonto. I film in cui recitava vincevano Oscar, adesso interpreta “prestigiosi“ ruoli da defunto, in pellicole di serie B. E la storia di Mirko, ragazzo della provincia di Lecce approdato a Roma in cerca di fortuna, che sogna di mettere il suo nome su un cartellone pubblicitario”.
Due destini che si incrociano…
“Marco vorrebbe scomparire, Mirko vuole apparire. Il primo viene dal Nord, il secondo dal Sud. Il primo ha rimpianti, l’altro sogna il futuro. Intorno a loro, un crescendo di situazioni deliranti, compresa l’apparizione di una banda di fratelli con licenza di uccidere. E vecchi amici che vivono rinchiusi in casa, e che viaggiano solo attraverso simulatori di volo. E che rispondono al citofono: “Non ti posso aprire, sto atterrando ad Amsterdam!“…”.